terça-feira, 30 de novembro de 2010
segunda-feira, 29 de novembro de 2010
Iran, Pakistan on frontline in war on drugs
Times Political Desk
TEHRAN – Iran and Pakistan are on the frontline in the war on illicit drugs, Iran’s interior minister said on Thursday.
Both countries should increase cooperation in order to stop the production and smuggling of illegal drugs, Mostafa Mohammad Najjar said. Najjar made the remarks in a meeting with Pakistani Minister for Narcotics Control Arbab Muhammad Zahir in Islamabad. As long as the narcotics are produced in Afghanistan, insecurity and terrorism will exist in the region, Najjar added. Afghanistan produces about 90 percent of the world’s opium, much of it smuggled through Pakistan and Iran, in an industry estimated to be worth almost three billion dollars a year. Iran and Pakistan can utilize their potential to stop the smuggling of the drugs, the Iranian minister stated. The two nations should cooperate to devise plans to prevent producing drug raw materials, to crack down on smugglers, thugs and demolish laboratories located in the border areas where heroin is produced, he noted. He also said Tehran and Islamabad should exchange information on the places in the border areas where drugs are manufactured. Iran has spent over 800 million dollars in fight against drug traffickers, 3700 of Iranian police officers have been killed and 11000 people have been injured during fights with the drug traffickers, he noted. Iran has also constructed walls along the joint Iran-Afghan border to prevent smuggling drugs, he added. Najjar called on the United Nations and other international entities to provide Iran the equipment needed for the fight against drug smuggling. Pakistani minister, for his part, thanked Iran for its help to flood-victims, saying such help showed there are numerous commonalties between the two nations. Zahir also said Islamabad expects the UN to provide Pakistan and Iran more military equipment and forces in fight drugs. Photo: Afghanistan's Minister of Counter Narcotics Zarar Ahmad Moqbil (L), Pakistani Minister for Narcotics Control Arbab Muhammad Zahir (C) and Iran’s Interior Minister Mostafa Mohammad Najjar (R) address a joint press conference after the triangular annual meeting on drug control in Islamabad on November 25, 2010.
Both countries should increase cooperation in order to stop the production and smuggling of illegal drugs, Mostafa Mohammad Najjar said. Najjar made the remarks in a meeting with Pakistani Minister for Narcotics Control Arbab Muhammad Zahir in Islamabad. As long as the narcotics are produced in Afghanistan, insecurity and terrorism will exist in the region, Najjar added. Afghanistan produces about 90 percent of the world’s opium, much of it smuggled through Pakistan and Iran, in an industry estimated to be worth almost three billion dollars a year. Iran and Pakistan can utilize their potential to stop the smuggling of the drugs, the Iranian minister stated. The two nations should cooperate to devise plans to prevent producing drug raw materials, to crack down on smugglers, thugs and demolish laboratories located in the border areas where heroin is produced, he noted. He also said Tehran and Islamabad should exchange information on the places in the border areas where drugs are manufactured. Iran has spent over 800 million dollars in fight against drug traffickers, 3700 of Iranian police officers have been killed and 11000 people have been injured during fights with the drug traffickers, he noted. Iran has also constructed walls along the joint Iran-Afghan border to prevent smuggling drugs, he added. Najjar called on the United Nations and other international entities to provide Iran the equipment needed for the fight against drug smuggling. Pakistani minister, for his part, thanked Iran for its help to flood-victims, saying such help showed there are numerous commonalties between the two nations. Zahir also said Islamabad expects the UN to provide Pakistan and Iran more military equipment and forces in fight drugs. Photo: Afghanistan's Minister of Counter Narcotics Zarar Ahmad Moqbil (L), Pakistani Minister for Narcotics Control Arbab Muhammad Zahir (C) and Iran’s Interior Minister Mostafa Mohammad Najjar (R) address a joint press conference after the triangular annual meeting on drug control in Islamabad on November 25, 2010.
sexta-feira, 26 de novembro de 2010
terça-feira, 23 de novembro de 2010
Io, lo "sbirro" che arrestò Pannella 35 anni fa
Io, lo "sbirro" che arrestò Pannella 35 anni fa
di Simonetta Dezi
Intervista al poliziotto dapprima costretto da una legge "assurda" e poi perseguitato da una burocrazia ottusa
Nel 1975 il commissario Ennio di Francesco e il leader radicale Marco Pannella avevano qualcosa in comune: entrambi erano convinti che la legge sulla droga, allora in vigore, andava cambiata e che il metodo repressivo non poteva funzionare per risolvere il problema. Quando il commissario fu costretto a far scattare le manette ai polsi di Pannella che, mettendo in atto una disobbedienza civile aveva fumato uno “spinello” in pubblico, decise, la sera stessa dell’arresto, di inviargli in carcere un telegramma di solidarietà. E comincia così una piccola storia che ripercorriamo dopo oltre 35 anni insieme ad uno dei protagonisti.
Commissario Di Francesco, cosa evoca per lei il nome Marco Pannella?Mi ricorda, con un misto di nostalgia ed emozione, tempi lontani, precisamente il luglio 1975 quando la sorte mi ha fatto incontrare questo carismatico “personaggio” che allora non conoscevo. Ho vissuto, tramite lui, un’esperienza straordinaria che oggi, con la forza del tempo, credo abbia segnato un mutamento importante nel modo di affrontare la problematica droga.
Lei lo ha arrestato...Sì, l’arresto di Pannella ho dovuto effettuarlo in forza ad una legge, allora in vigore, che obbligava ad arrestare “chiunque comunque detenga sostanze stupefacenti” e di fatto apriva anche per consumatori casuali o tossicodipendenti, spesso ragazzi, due sole vie obbligatorie: il carcere, perché criminali, o il ricovero manicomiale, perché pericolosi per se stessi e per gli altri. L’incontro con Pannella e il suo arresto mi permise di mettere in evidenza tutta l’assurdità di questa legge, attraverso un telegramma, riservato, inviatogli a Regina Coeli, ma che doveva restare l’espressione di una solidarietà personale. Ingenuamente non avevo tenuto conto dell’abilità politica del “personaggio” che lo rese subito pubblico. Di qui il mio trasferimento immediato e la denuncia al magistrato nei miei confronti per “presunto reato” in quel telegramma. Ovviamente era un pretesto dell’amministrazione per sbarazzarsi di un funzionario scomodo: in quello stesso periodo avevo promosso con altri “carbonari” il Movimento per la democratizzazione e la riforma della Polizia.
Pentito?No. Per questo dico che esistono momenti della vita in cui si è come spiritualmente guidati a fare qualcosa ed oggi, tra gli eventi della mia non facile avventura professionale, ritengo che quell’episodio sia scaturito da quegli incontri di affinità o di catarsi che in fondo arricchiscono un po’ la società di qualche cosa. Per cui sono ancor più convinto che l’idealità di Pannella, in tutti i suoi comportamenti sociali e politici che trascendono le contingenze, stranamente andava a coincidere con la sensibilità e l’idealità sociale di uno “sbirro” che apparteneva ad un’istituzione di per se conservatrice, se non repressiva come la polizia , ma che, per analogo sentire, era sulla stessa lunghezza d’onda.
Parla di valori comuni …Ci sono valori spirituali esistenziali che vanno al di là degli stereotipi, in particolare di quelli di poliziotto. Tant’è che quell’episodio per il clamore che ebbe e per gli interventi di riflessione che ci furono a livello giuridico e filosofico - intervennero in senso positivo verso di me il filosofo Guido Calogero, il presidente della Corte costituzionale Giuseppe Branca, Stefano Rodotà - accelerò l’iter di discussione e approvazione, che avvenne nel dicembre del ’75, della nuova legge. Con le norme introdotte si eliminò un approccio meramente repressivo e si introdusse maggior attenzione per la prevenzione: insomma una nuova impostazione e una maggiore attenzione verso il mondo della droga e una più incisiva azione di contrasto contro il traffico delle organizzazioni criminali che si arricchiscono sulla pelle di tanti giovani.
Cosa aveva a che fare lei con il mondo della droga?Come dirigente della “sezione narcotici” a Genova nel ’73 e poi a Roma avevo dovuto applicare quella norma anacronistica e ingiusta a tanti ragazzi caduti nel tunnel della droga, in particolare dell’eroina. Ero maturo dentro per cogliere la suggestione di Marco Pannella, pur non essendo io assolutamente a favore della liberalizzazione della droga. Ne avevo visti diversi naufragare e persino morire. Avevo questa sensibilità sulla mia pelle. Questi ragazzi non avevano altra colpa se non quella di essersi imbattuti nell’ingannevole ideologia secondo cui nella droga avrebbero trovato la liberazione dal loro malessere esistenziale. Un’ideologia meritevole forse di essere certo approfondita, ma su cui si inserivano spietatamente le holding criminali, talora con la sospetta connivenza di apparati istituzionali dei paesi “produttori” di droga. La nostra polizia da una parte si confrontava solo repressivamente con la realtà del consumo giovanile e dall’altra non era affatto organizzata in maniera da poter minimamente scalfire il vero traffico di droga nazionale e internazionale.
Si può dire che l’incontro con Pannella le ha distrutto la carriera?No, ma certo non l’ha favorita: mi ha attaccato addosso un’altra etichetta di personaggio gerarchicamente “non affidabile” e questo in un’amministrazione come quella di polizia non può essere tollerato. Il mio trasferimento dalla sezione narcotici portò, dopo l’arresto di Pannella, all’interruzione di un’indagine che proprio in quei giorni stavo conducendo sulla “banda dei marsigliesi” che si stava insediando a Roma per commettere reati che andavano dal sequestro di persona al traffico internazionale di droga ed armi. Riuscii comunque a far ritardare il trasferimento di un giorno e l’ultimo giorno arrestammo diversi marsigliesi con il più grosso quantitativo di eroina mai sequestrato nella Capitale in quegli anni. Quell’indagine aveva peraltro toccato strane connessioni tra criminalità organizzata, come la futura banda della Magliana, e consorterie massoniche.Ci furono poi manifestazioni in suo sostegno anche da parte radicale.Marco Pannella, che passò prima dell’arresto alcune ore nel mio ufficio respirando l’atmosfera di quell’indagine, dovette rendersi conto del danno provocatomi. Arrivò al ministero una lettera di Spadaccia che spiegava che il telegramma era stato reso pubblico per sbaglio e l’indomani, mentre venivo trasferito, ci fu una manifestazione sotto la questura di Roma in mio sostegno. E’ significativa la foto pubblicata poi da Panorama con una ragazza ( mi piacerebbe rintracciarla) che porta un cartello con la scritta “Di Francesco è colpevole di pensare”. Il dibattito filosofico-culturale apertosi nell’opinione pubblica sul fatto che un funzionario, pur applicando rigorosamente una legge ne aveva denunciato l’incongruenza, portò anche il ministero a non insistere sulla denuncia. Peraltro il magistrato la bloccò, com’era prevedibile, per insussistenza di alcun reato. L’obiettivo gerarchico di eliminarmi già allora quindi non riuscì.
Quel telegramma le valse non solo l’allontanamento ma fu anche definito sindacalista di sinistra e addirittura filo-radicale, due etichette politiche che non sembrano appartenerle.L’applicare etichette su qualcuno che appare dissonante rispetto alle verità di un “sistema” basato su più tranquillizzanti culture e poteri tradizionali è “paradossalmente” fisiologico. Ciò rivela, al di là del mio caso, una difficoltà reale a interpretare il concetto di “senso di servizio verso la collettività” come tendenza esistenziale autonoma inquadrabile in una concezione trascendente, verso una visione di rispetto assoluto della persona. In fondo una visione alla Tiziano Terzani, alla Aldo Capitini, e perché no, alla Marco Pannella.
La legge poi, proprio nel 1975, venne modificataSì, ma le modifiche introdussero, quasi a compensazione frettolosa, il concetto quasi di “un diritto a drogarsi” attraverso la dizione equivoca di non punibilità per “modica quantità”. Questo ha determinatouna complicata gestione applicativa e giuridica, portando anche a incertezze ed eccessi giurisprudenziali. Per taluni, ad esempio, è diventata modica quantità la detenzione di chili di qualsiasi sostanza, anche cocaina, per uso prolungato nel tempo. E’ stato pertanto facile, poi, col mutare di ideologie filosofiche e politiche tornare a una concezione rigida come quella della legge attuale, abolendo ogni distinzione tra droghe leggere e pesanti, creando meccanismi di difficile applicazione e dando un approccio sostanzialmente repressivo, psichiatrico ed epidemiologico del fenomeno più che di analisi olistica ed esistenziale.
di Simonetta Dezi
Intervista al poliziotto dapprima costretto da una legge "assurda" e poi perseguitato da una burocrazia ottusa
Nel 1975 il commissario Ennio di Francesco e il leader radicale Marco Pannella avevano qualcosa in comune: entrambi erano convinti che la legge sulla droga, allora in vigore, andava cambiata e che il metodo repressivo non poteva funzionare per risolvere il problema. Quando il commissario fu costretto a far scattare le manette ai polsi di Pannella che, mettendo in atto una disobbedienza civile aveva fumato uno “spinello” in pubblico, decise, la sera stessa dell’arresto, di inviargli in carcere un telegramma di solidarietà. E comincia così una piccola storia che ripercorriamo dopo oltre 35 anni insieme ad uno dei protagonisti.
Commissario Di Francesco, cosa evoca per lei il nome Marco Pannella?Mi ricorda, con un misto di nostalgia ed emozione, tempi lontani, precisamente il luglio 1975 quando la sorte mi ha fatto incontrare questo carismatico “personaggio” che allora non conoscevo. Ho vissuto, tramite lui, un’esperienza straordinaria che oggi, con la forza del tempo, credo abbia segnato un mutamento importante nel modo di affrontare la problematica droga.
Lei lo ha arrestato...Sì, l’arresto di Pannella ho dovuto effettuarlo in forza ad una legge, allora in vigore, che obbligava ad arrestare “chiunque comunque detenga sostanze stupefacenti” e di fatto apriva anche per consumatori casuali o tossicodipendenti, spesso ragazzi, due sole vie obbligatorie: il carcere, perché criminali, o il ricovero manicomiale, perché pericolosi per se stessi e per gli altri. L’incontro con Pannella e il suo arresto mi permise di mettere in evidenza tutta l’assurdità di questa legge, attraverso un telegramma, riservato, inviatogli a Regina Coeli, ma che doveva restare l’espressione di una solidarietà personale. Ingenuamente non avevo tenuto conto dell’abilità politica del “personaggio” che lo rese subito pubblico. Di qui il mio trasferimento immediato e la denuncia al magistrato nei miei confronti per “presunto reato” in quel telegramma. Ovviamente era un pretesto dell’amministrazione per sbarazzarsi di un funzionario scomodo: in quello stesso periodo avevo promosso con altri “carbonari” il Movimento per la democratizzazione e la riforma della Polizia.
Pentito?No. Per questo dico che esistono momenti della vita in cui si è come spiritualmente guidati a fare qualcosa ed oggi, tra gli eventi della mia non facile avventura professionale, ritengo che quell’episodio sia scaturito da quegli incontri di affinità o di catarsi che in fondo arricchiscono un po’ la società di qualche cosa. Per cui sono ancor più convinto che l’idealità di Pannella, in tutti i suoi comportamenti sociali e politici che trascendono le contingenze, stranamente andava a coincidere con la sensibilità e l’idealità sociale di uno “sbirro” che apparteneva ad un’istituzione di per se conservatrice, se non repressiva come la polizia , ma che, per analogo sentire, era sulla stessa lunghezza d’onda.
Parla di valori comuni …Ci sono valori spirituali esistenziali che vanno al di là degli stereotipi, in particolare di quelli di poliziotto. Tant’è che quell’episodio per il clamore che ebbe e per gli interventi di riflessione che ci furono a livello giuridico e filosofico - intervennero in senso positivo verso di me il filosofo Guido Calogero, il presidente della Corte costituzionale Giuseppe Branca, Stefano Rodotà - accelerò l’iter di discussione e approvazione, che avvenne nel dicembre del ’75, della nuova legge. Con le norme introdotte si eliminò un approccio meramente repressivo e si introdusse maggior attenzione per la prevenzione: insomma una nuova impostazione e una maggiore attenzione verso il mondo della droga e una più incisiva azione di contrasto contro il traffico delle organizzazioni criminali che si arricchiscono sulla pelle di tanti giovani.
Cosa aveva a che fare lei con il mondo della droga?Come dirigente della “sezione narcotici” a Genova nel ’73 e poi a Roma avevo dovuto applicare quella norma anacronistica e ingiusta a tanti ragazzi caduti nel tunnel della droga, in particolare dell’eroina. Ero maturo dentro per cogliere la suggestione di Marco Pannella, pur non essendo io assolutamente a favore della liberalizzazione della droga. Ne avevo visti diversi naufragare e persino morire. Avevo questa sensibilità sulla mia pelle. Questi ragazzi non avevano altra colpa se non quella di essersi imbattuti nell’ingannevole ideologia secondo cui nella droga avrebbero trovato la liberazione dal loro malessere esistenziale. Un’ideologia meritevole forse di essere certo approfondita, ma su cui si inserivano spietatamente le holding criminali, talora con la sospetta connivenza di apparati istituzionali dei paesi “produttori” di droga. La nostra polizia da una parte si confrontava solo repressivamente con la realtà del consumo giovanile e dall’altra non era affatto organizzata in maniera da poter minimamente scalfire il vero traffico di droga nazionale e internazionale.
Si può dire che l’incontro con Pannella le ha distrutto la carriera?No, ma certo non l’ha favorita: mi ha attaccato addosso un’altra etichetta di personaggio gerarchicamente “non affidabile” e questo in un’amministrazione come quella di polizia non può essere tollerato. Il mio trasferimento dalla sezione narcotici portò, dopo l’arresto di Pannella, all’interruzione di un’indagine che proprio in quei giorni stavo conducendo sulla “banda dei marsigliesi” che si stava insediando a Roma per commettere reati che andavano dal sequestro di persona al traffico internazionale di droga ed armi. Riuscii comunque a far ritardare il trasferimento di un giorno e l’ultimo giorno arrestammo diversi marsigliesi con il più grosso quantitativo di eroina mai sequestrato nella Capitale in quegli anni. Quell’indagine aveva peraltro toccato strane connessioni tra criminalità organizzata, come la futura banda della Magliana, e consorterie massoniche.Ci furono poi manifestazioni in suo sostegno anche da parte radicale.Marco Pannella, che passò prima dell’arresto alcune ore nel mio ufficio respirando l’atmosfera di quell’indagine, dovette rendersi conto del danno provocatomi. Arrivò al ministero una lettera di Spadaccia che spiegava che il telegramma era stato reso pubblico per sbaglio e l’indomani, mentre venivo trasferito, ci fu una manifestazione sotto la questura di Roma in mio sostegno. E’ significativa la foto pubblicata poi da Panorama con una ragazza ( mi piacerebbe rintracciarla) che porta un cartello con la scritta “Di Francesco è colpevole di pensare”. Il dibattito filosofico-culturale apertosi nell’opinione pubblica sul fatto che un funzionario, pur applicando rigorosamente una legge ne aveva denunciato l’incongruenza, portò anche il ministero a non insistere sulla denuncia. Peraltro il magistrato la bloccò, com’era prevedibile, per insussistenza di alcun reato. L’obiettivo gerarchico di eliminarmi già allora quindi non riuscì.
Quel telegramma le valse non solo l’allontanamento ma fu anche definito sindacalista di sinistra e addirittura filo-radicale, due etichette politiche che non sembrano appartenerle.L’applicare etichette su qualcuno che appare dissonante rispetto alle verità di un “sistema” basato su più tranquillizzanti culture e poteri tradizionali è “paradossalmente” fisiologico. Ciò rivela, al di là del mio caso, una difficoltà reale a interpretare il concetto di “senso di servizio verso la collettività” come tendenza esistenziale autonoma inquadrabile in una concezione trascendente, verso una visione di rispetto assoluto della persona. In fondo una visione alla Tiziano Terzani, alla Aldo Capitini, e perché no, alla Marco Pannella.
La legge poi, proprio nel 1975, venne modificataSì, ma le modifiche introdussero, quasi a compensazione frettolosa, il concetto quasi di “un diritto a drogarsi” attraverso la dizione equivoca di non punibilità per “modica quantità”. Questo ha determinatouna complicata gestione applicativa e giuridica, portando anche a incertezze ed eccessi giurisprudenziali. Per taluni, ad esempio, è diventata modica quantità la detenzione di chili di qualsiasi sostanza, anche cocaina, per uso prolungato nel tempo. E’ stato pertanto facile, poi, col mutare di ideologie filosofiche e politiche tornare a una concezione rigida come quella della legge attuale, abolendo ogni distinzione tra droghe leggere e pesanti, creando meccanismi di difficile applicazione e dando un approccio sostanzialmente repressivo, psichiatrico ed epidemiologico del fenomeno più che di analisi olistica ed esistenziale.
Evo Morales: "pretexto de luchar contra el narcotráfico"
El presidente de Bolivia, Evo Morales, inauguró este lunes la IX Conferencia Internacional de Ministros de Defensa de las Américas en Santa Cruz (este), instando a las naciones del continente a que se realice una discusión que garantice la democracia y el respeto en la región.Ante los intentos de golpe de Estado en los últimos años en Latinoamérica, Morales aseguró durante su discurso que “quisiéramos que esta conferencia garantice una democracia verdadera a los pueblos, respetando los diferentes que somos”.
Acusó a Estados Unidos de estar detrás de las rebeliones y sugirió un debate profundo sobre el tema en el evento "para garantizar la democracia en el continente”.
“Los países que soportamos intentos de golpe de Estado desde 2002, en Venezuela, 2008 Bolivia, 2009 Honduras, 2010 Ecuador (...) Hay que reconocer compañero que Estados Unidos nos ganó en Honduras”, expresó.
Asimismo criticó, los intentos de levantar bases militares en la región y defendió la lucha de los pueblos por su soberanía.
"¿Cómo se puede hablar de paz habiendo siete bases militares (estadounidense en la región)? Los pueblos luchamos por nuestra soberanía, eso no se puede hacer ni con intervenciones militares, ni con bases (militares extranjeras). Por más pequeños que seamos, todos los países tenemos dignidad y tenemos soberanía”, expresó.
Añadió que "la paz es la hija de la igualdad que es la justicia social. Si no hay igualdad y justicia social no podemos garantizar la paz".
El líder boliviano afirmó que “las Fuerzas Armadas del continente no puede permitir que ningún militar extranjero uniformado y armado” intente ingresar en sus territorios con el “pretexto de luchar contra el narcotráfico”.
Con respecto a las acusaciones de algunos estados sobre la producción boliviana de la hoja de coca, el mandatario aclaró que está totalmente aislada a la explotación de narcóticos, por lo que “dentro de la lucha contra el narcotráfico no pueden haber pretextos geopolíticos, confundiendo la hoja de coca con la cocaína, a los consumidores de la hoja con los narcodependientes”.
“Es nuestra obligación luchar contra las drogas. Bolivia no tiene la cultura de la droga ni de la coca, la droga viene de los mercados internacionales”, manifestó.
Asimismo afirmó que una de las maneras para combatir este problema es cambiando las políticas bancarias, eliminando el secreto bancario.
“Hay que cambiar esas políticas, la nueva política es cambiar el secreto bancario, los peces gordos del narcotráfico circulan su dinero por los bancos ¿por qué no cambiar el secreto bancario para acabar con los narcos?”, preguntó.Reunión de la UltraderechaEl presidente Morales condenó las acusaciones emitidas en su contra y de algunos líderes latinoamericanos que mantienen relaciones comerciales y diplomáticas con países que, según Estados Unidos, son patrocinadores del terrorismo.
“Bolivia, bajo mi dirección, tendrá acuerdo con todo el mundo, nadie nos lo va a prohibir, tenemos derecho, tenemos la cultura del diálogo, pero lo más importante es que sin socios democráticos no puede haber seguridad regional”, expresó.
Estas imputaciones surgieron durante la reunión de representante ultraderechistas efectuada el pasado 17 de noviembre en la ciudad estadounidense de Washington, donde arremetieron específicamente en contra del mandatario de Venezuela, Hugo Chávez, de Ecuador, Rafael Correa, de Nicaragua, Daniel Ortega y de Morales.
El encuentro titulado “Peligro en los Andes, amenazas a la democracia, a los derechos humanos y a la seguridad interamericana”, fue calificado por algunos expertos como “una declaración de guerra” hacia Latinoamérica y en particular hacia Venezuela.
Algunos de los ponentes de este encuentro de la ultraderecha instaron a la Organización de Estados Americanos (OEA) a expulsar a Venezuela, Ecuador, Bolivia y Nicaragua de su seno además de aplicarles una serie de sanciones.
Al respecto, Morales respondió que este tipo de penalizaciones “significan un bloqueo económico como el de Cuba, ¿cómo podemos algunos países de América garantizar la paz cuando éstos son los pensamientos de algunos congresistas del continente?”.
Sobre los recursos naturales, el jefe de Estado de Bolivia, recordó el desligamiento de la explotación hecha por potencias extranjeras en el pasado.
"Antes con los recursos naturales que se extraían de los mega campos, las utilidades para Bolivia quedaban en 18 por ciento y el 82 por ciento era para petroleras trasnacionales".
Recordó que a partir del primero de mayo de 2006, a través de un decreto supremo, "decidimos el control del Estado en nuestros recursos naturales".
Durante la novena conferencia de ministros de las Américas, Morales destacó con cifras el impulso del crecimiento económico que ha visto la nación andina en los últimos cuatro años a diferencias de anteriores administraciones.
Liberación de organismos financieros
El presidente se refirió además a la importancia de liberarse de organismos internacionales que imponen políticas a través de las cuales deben regirse las naciones en progreso y que no traen los mismos beneficios cuando el manejo de un país es llevado adelante por un Gobierno y su pueblo.
"A pesar de que no soy un experto en temas políticos o en temas económicos, llego a la conclusión de que cuando nos liberamos económicamente del Fondo Monetario Internacional (FMI) podemos estar mejor", dijo Morales.
Agregó que "si no dependemos democráticamente de EE.UU. mejoramos la democracia en Latinoamérica".
Sin embargo, aclaró que Bolivia todavía necesita de la cooperación internacional en materia económica con facilidades en créditos porque estamos en un proceso de profundas transformaciones.
"Eso es parte del proceso de cambios, no sólo condenar o agredir, sino prepararnos, compartir experiencias, vivencias" para lograr un desarrollo integral en el país.
Finalmente el jefe de Estado acotó que "sólo se va a garantizar la democracia y la paz sin hegemonías para que el pueblo pueda decidir por sí solo sobre su seguridad.
Mientras tengamos actitudes intervencionistas con cualquier pretexto, los países no podrán ser liberados".
Acusó a Estados Unidos de estar detrás de las rebeliones y sugirió un debate profundo sobre el tema en el evento "para garantizar la democracia en el continente”.
“Los países que soportamos intentos de golpe de Estado desde 2002, en Venezuela, 2008 Bolivia, 2009 Honduras, 2010 Ecuador (...) Hay que reconocer compañero que Estados Unidos nos ganó en Honduras”, expresó.
Asimismo criticó, los intentos de levantar bases militares en la región y defendió la lucha de los pueblos por su soberanía.
"¿Cómo se puede hablar de paz habiendo siete bases militares (estadounidense en la región)? Los pueblos luchamos por nuestra soberanía, eso no se puede hacer ni con intervenciones militares, ni con bases (militares extranjeras). Por más pequeños que seamos, todos los países tenemos dignidad y tenemos soberanía”, expresó.
Añadió que "la paz es la hija de la igualdad que es la justicia social. Si no hay igualdad y justicia social no podemos garantizar la paz".
El líder boliviano afirmó que “las Fuerzas Armadas del continente no puede permitir que ningún militar extranjero uniformado y armado” intente ingresar en sus territorios con el “pretexto de luchar contra el narcotráfico”.
Con respecto a las acusaciones de algunos estados sobre la producción boliviana de la hoja de coca, el mandatario aclaró que está totalmente aislada a la explotación de narcóticos, por lo que “dentro de la lucha contra el narcotráfico no pueden haber pretextos geopolíticos, confundiendo la hoja de coca con la cocaína, a los consumidores de la hoja con los narcodependientes”.
“Es nuestra obligación luchar contra las drogas. Bolivia no tiene la cultura de la droga ni de la coca, la droga viene de los mercados internacionales”, manifestó.
Asimismo afirmó que una de las maneras para combatir este problema es cambiando las políticas bancarias, eliminando el secreto bancario.
“Hay que cambiar esas políticas, la nueva política es cambiar el secreto bancario, los peces gordos del narcotráfico circulan su dinero por los bancos ¿por qué no cambiar el secreto bancario para acabar con los narcos?”, preguntó.Reunión de la UltraderechaEl presidente Morales condenó las acusaciones emitidas en su contra y de algunos líderes latinoamericanos que mantienen relaciones comerciales y diplomáticas con países que, según Estados Unidos, son patrocinadores del terrorismo.
“Bolivia, bajo mi dirección, tendrá acuerdo con todo el mundo, nadie nos lo va a prohibir, tenemos derecho, tenemos la cultura del diálogo, pero lo más importante es que sin socios democráticos no puede haber seguridad regional”, expresó.
Estas imputaciones surgieron durante la reunión de representante ultraderechistas efectuada el pasado 17 de noviembre en la ciudad estadounidense de Washington, donde arremetieron específicamente en contra del mandatario de Venezuela, Hugo Chávez, de Ecuador, Rafael Correa, de Nicaragua, Daniel Ortega y de Morales.
El encuentro titulado “Peligro en los Andes, amenazas a la democracia, a los derechos humanos y a la seguridad interamericana”, fue calificado por algunos expertos como “una declaración de guerra” hacia Latinoamérica y en particular hacia Venezuela.
Algunos de los ponentes de este encuentro de la ultraderecha instaron a la Organización de Estados Americanos (OEA) a expulsar a Venezuela, Ecuador, Bolivia y Nicaragua de su seno además de aplicarles una serie de sanciones.
Al respecto, Morales respondió que este tipo de penalizaciones “significan un bloqueo económico como el de Cuba, ¿cómo podemos algunos países de América garantizar la paz cuando éstos son los pensamientos de algunos congresistas del continente?”.
Sobre los recursos naturales, el jefe de Estado de Bolivia, recordó el desligamiento de la explotación hecha por potencias extranjeras en el pasado.
"Antes con los recursos naturales que se extraían de los mega campos, las utilidades para Bolivia quedaban en 18 por ciento y el 82 por ciento era para petroleras trasnacionales".
Recordó que a partir del primero de mayo de 2006, a través de un decreto supremo, "decidimos el control del Estado en nuestros recursos naturales".
Durante la novena conferencia de ministros de las Américas, Morales destacó con cifras el impulso del crecimiento económico que ha visto la nación andina en los últimos cuatro años a diferencias de anteriores administraciones.
Liberación de organismos financieros
El presidente se refirió además a la importancia de liberarse de organismos internacionales que imponen políticas a través de las cuales deben regirse las naciones en progreso y que no traen los mismos beneficios cuando el manejo de un país es llevado adelante por un Gobierno y su pueblo.
"A pesar de que no soy un experto en temas políticos o en temas económicos, llego a la conclusión de que cuando nos liberamos económicamente del Fondo Monetario Internacional (FMI) podemos estar mejor", dijo Morales.
Agregó que "si no dependemos democráticamente de EE.UU. mejoramos la democracia en Latinoamérica".
Sin embargo, aclaró que Bolivia todavía necesita de la cooperación internacional en materia económica con facilidades en créditos porque estamos en un proceso de profundas transformaciones.
"Eso es parte del proceso de cambios, no sólo condenar o agredir, sino prepararnos, compartir experiencias, vivencias" para lograr un desarrollo integral en el país.
Finalmente el jefe de Estado acotó que "sólo se va a garantizar la democracia y la paz sin hegemonías para que el pueblo pueda decidir por sí solo sobre su seguridad.
Mientras tengamos actitudes intervencionistas con cualquier pretexto, los países no podrán ser liberados".
War on Drugs: Ethan Nadelmann
War on drugs
http://www.abc.net.au/7.30/content/2010/s3074530.htm
Australian Broadcasting Corporation
Broadcast: 23/11/2010
http://www.abc.net.au/7.30/content/2010/s3074530.htm
Australian Broadcasting Corporation
Broadcast: 23/11/2010
Reporter: Tracy Bowden
Ethan Nadelmann from the Drug Policy Alliance speaks with Tracy Bowden.
TranscriptTRACEY BOWDEN, PRESENTER: Elsewhere across Victoria today police launched one of the biggest anti drugs operations the state has ever seen. More than 600 officers raided a cannabis and heroin syndicate that police allege made $400 million in just the past two years. But as police were claiming victory in that battle, a visiting expert on narcotics law was telling the National Press Club that the wider international war on drugs can't be won. Ethen Nadelmann heads the George Soros funded Policy Alliance in New York. He says that privately more and more politicians, police and health authorities know prohibition of drugs can't succeed and in fact only benefits criminals. And he argues a move to decriminalise soft drugs and regulate supply of narcotics in countries like Australia is only a matter of time. I spoke to Ethan Nadelmann in Sydney. Ethan Nadelmann, who is winning the drug war? Is it in fact winnable?
Ethan Nadelmann from the Drug Policy Alliance speaks with Tracy Bowden.
TranscriptTRACEY BOWDEN, PRESENTER: Elsewhere across Victoria today police launched one of the biggest anti drugs operations the state has ever seen. More than 600 officers raided a cannabis and heroin syndicate that police allege made $400 million in just the past two years. But as police were claiming victory in that battle, a visiting expert on narcotics law was telling the National Press Club that the wider international war on drugs can't be won. Ethen Nadelmann heads the George Soros funded Policy Alliance in New York. He says that privately more and more politicians, police and health authorities know prohibition of drugs can't succeed and in fact only benefits criminals. And he argues a move to decriminalise soft drugs and regulate supply of narcotics in countries like Australia is only a matter of time. I spoke to Ethan Nadelmann in Sydney. Ethan Nadelmann, who is winning the drug war? Is it in fact winnable?
ETHAN NADELMANN, EXECUTIVE DIRECTOR, DRUG POLICY ALLIANCE: There's probably only two groups that are really benefiting from the drug war these days. On the one hand, you have all the criminal organisations in Mexico and Afghanistan, in Australia, in the United States that are making billions and billions of dollars. And so long as they're not getting caught or going to prison, they're benefitting. And the other group that's benefitting essentially is the prison industrial complex. It's the hundreds and thousands - the millions of people around the world getting paid to enforce these laws, getting paid to put people in prison, getting paid, paid, paid, basically to keep arresting people in what's a bottomless pit. In a way what's happened over the last few decades is that the organised criminals keep making more and more money, the law enforcement establishment keeps getting bigger and bigger. They're benefitting and everybody else is worse off.
TRACEY BOWDEN: You make it sound very easy - legally regulate it and everything will be fine. But what is your plan? How easy would that be?
ETHAN NADELMANN: Well I think the first thing is we need to transform nature of the debate. I mean, so much of the debate in your country and mine is about which new law enforcement approach might work better. But I think the really important debate is between those people who would say 'Let's legalise the whole shebang' and those who say 'Let's not legalise but we need a much more sensible public health policy, one that focuses on reducing the death, the disease, the crime and suffering associated both with drugs and our failed prohibitionist policies'. Then you can ask, what are the best policies that we could have to reduce the harms of drugs? And with that I would say, first of all, with cannabis, take cannabis out of the criminal justice system. I mean, let's face it, we've justified the laws against marijuana forever and ever as some great big Child Protection Act when everybody knows that the people have who have the best access to marijuana are in fact young people. With respect to the harder drugs - heroin, cocaine, especially with heroin - I would say let's allow the hard core addicts - the people who are committed to using these drugs, who are going to get them from the black market no matter what we do, allow them to obtain it from legal sources, from clinics, from pharmacies, whatever it may be. It's the heroin maintenance programs you now have in Europe and Canada - something that Australians once led in talking about. I think those are two very pragmatic policies that could result in less death, less disease, less crime and less waste of taxpayer money.
TRACEY BOWDEN: You are talking about substances here that can harm people physically and mentally, can kill people. How do you ethically overcome the idea of legalising them?
ETHAN NADELMANN: Trying to create a drug-free society makes no sense. There's never been a drug free society. There's never going to be a drug-free society. The real challenge for us is not 'How do we keep these drugs at bay? How do we build a moat between these drugs and our children? The real question is, ‘How do we accept the fact that these drugs are here to stay, and that the real challenge is to learn how to live with them so they cause the least possible harm and in some cases the greatest possible benefits?’
TRACEY BOWDEN: What do you do, say, when it reaches the point where there is the first death of someone who was a registered heroin user - so essentially the government has if you like provided the drug? What happens when the first person in that situation dies?
ETHAN NADELMANN: Thousands and thousands of people are dying are overdoses, right? Heroin overdoses, pharmaceutical opiate overdoses. If we set up a legal program like they now have in the Netherlands or they have in Germany or Switzerland or Denmark or Canada... You know, so far by the way there have been no fatalities in those programs. But if there was a fatality, I would say that would be one fatality in a program which has saved hundreds of lives, saved taxpayers millions of dollars, reduced the spread of HIV and Hep C. It would be unfortunate but the odds are that that person likely would have died if that program had never existed in the first place.
TRACEY BOWDEN: We're told that drugs are very easy to get now. If they're legal does that mean they're going to be even be easier to get and therefore more people will try them?
ETHAN NADELMANN: Well I know at least in the United States that there are now at least three surveys in which teenagers say it is easier to buy marijuana than it is to buy alcohol. So if ever there were an indictment of the current marijuana prohibition policy, that seems to be it. I mean, if marijuana were legalised it's not going to make it more available to young people 'cause they already have easy access. What I'm saying is not 'Let's have a free for all'. What I'm saying is not 'Let's eliminate regulations'. What I'm saying is, 'Let's regulate this stuff to reduce the harms associated both with drugs and with our drug control policies'. People make the mistake of assuming that prohibition represents the ultimate form of regulation when in fact prohibition represents the abdication of regulation. It means that whatever you don't effectively prohibit is left in the hands of the criminals. What I'm interested in is a sensible, intelligent, tough regulatory policy that reduces the harms of drugs and that also reduces the harms of our failed prohibitionist policies.
TRACEY BOWDEN: Californians recently voted against legalising marijuana. What does that tell you about where the public debate is, what the public view is at the moment?
ETHAN NADELMANN: I and my organisation the Drug Policy Alliance were deeply involved in that campaign. We didn't start it but we played a major role. And I have to say, I never expected the initiative would get 46.3 per cent of the vote. I was prepared for much less than that but if anything, the nature of the debate around legalising marijuana has been transformed in the last two years. Two years ago, that debate was considered a fringe issue. Now it's a mainstream political issue. By and large, what you see in the United States is a growing sentiment that although marijuana may not be the safest drug for everybody, that we're better off taxing it, controlling it and regulating it. And that arresting 800,000 Americans a year - over 40 per cent of all of our drug arrests - for marijuana possession makes no sense.
TRACEY BOWDEN: Now, while you're here in Australia you're going to be speaking to people behind the scenes, no doubt - police, medical people, maybe politicians. Do you have a sense that they want change?
ETHAN NADELMANN: My sense is that the number of people in Australia, especially in the upper echelons, who privately believe it's time for a different policy, it's growing. It's true all around the world that the number of... that there's a growing disparity between what elected officials and other prominent individuals say publicly and what they will say privately. What's beginning to happen is that more and more people are finally beginning to say publicly what they would only previously say privately. Look what just happened in Mexico, where not just the current President Calderón said 'Okay we need a debate on legalisation' but his predecessor Vicente Fox said 'That's the answer' and his predecessor President Zedillo said 'We need a bigger debate'. So what you're seeing is people beginning to cross over from expressing themselves privately to expressing themselves publicly. I think we're going to see that crossover happening in Australia in the next year or two as well.
TRACEY BOWDEN: Do you understand that for a lot of people that big stumbling block is the fact that these are substances that can cause psychotic episodes - can cause, potentially, schizophrenia? Legalising something like that troubles people.
ETHAN NADELMANN: I think once you accept the reality that these drugs are here, whether we like it or not, once you accept that we have to find ways to better control them and to minimise their harms, then you begin to accept that criminalisation may not be the best way to deal with this. I remember there's a Dutch scientist who was one of the first ones who showed that there may be some link between heavy use of marijuana at a young age and premature onset of schizophrenia. Somebody said 'So what does that say to you about legalising marijuana?' His response is 'It says to me that's why we have to legalise, that marijuana, while it may be safe for most people who use it, it's too dangerous to be left in the hands of the criminals. We need to bring this above the ground where it be effectively regulated in a responsible way. We can't rely on the criminals to effectively regulate substances which can be as dangerous as these are'.
TRACEY BOWDEN: Is there proof that your model would work?
ETHAN NADELMANN: There is proof from abroad that, for example, decriminalising marijuana and allowing people to obtain it legally for medicinal purposes is not associated with any great increase in use. There is overwhelming proof published in the scientific journals that allowing committed heroin addicts to obtain their heroin legally from a legal clinic does reduce addiction, disease, crime, saves taxpayers money. Overwhelming proof.There is proof now coming from Portugal - a wonderful report out just this week in the British Journal of Criminology by Alex Stevens - that Portugal's policy of decriminalising possession of all drugs has not resulted in an increase in drug use, but it has resulted in a reduction in crime, reduction of HIV, hep C and other drug related ills. So there's powerful evidence.The thing I'm at a loss to understand is Australia, which 20 years ago took the lead in the world in saying 'Let's have a heroin maintenance trial' and then abandoned it. And now seven other countries are doing it and some have it as a matter of national policy and in Australia you still have politicians saying 'It would send the wrong message' as if the right message is "Let those people die" rather than institute a policy which has been proven to work in a half a dozen foreign countries. That I don't get.
TRACEY BOWDEN: Ethan Nadelmann, thank you for speaking to us.
ETHAN NADELMANN: Thank you very much.
TRACEY BOWDEN: Some provocative views there on a very controversial subject and that's the program for tonight.
Portugal: Médicos do trabalho vão rastrear uso de droga e álcool
Empresas terão de desenhar um regulamento e submetê-lo à aprovação da Comissão de Dados, que o tornará vinculativo.
Os médicos do trabalho vão poder realizar testes aos consumos de álcool e drogas a trabalhadores, em especial aos que exerçam funções de risco, como, por exemplo, os que operam na área dos transportes ou construção civil. Um grupo de trabalho liderado pelo Instituto da Droga e da Toxicodependência (IDT) definiu as regras e os princípios que grandes empresas devem seguir para prevenir e tratar problemas ligados ao consumo. O documento Linhas Orientadoras para Intervenção em Meio Laboral terá o aval dos ministérios do Trabalho e da Saúde em breve.Calcula-se que "um milhão de portugueses tem problemas com o consumo de álcool e cem mil com drogas ilícitas. A maioria são pessoas activas", conta Mário Castro, do departamento de monitorização, formação e relações internacionais do IDT.Razões suficientes para que durante um ano um grupo restrito tivesse negociado este documento, que será em breve divulgado em público. "Queremos pôr isto na agenda das empresas e organizações públicas e privadas". Apesar de as empresas não serem obrigadas a pôr em prática medidas como o rastreio, Carlos Ramos Cleto, do núcleo de reinserção do IDT, acredita que "as empresas maiores terão interesse em fazê-lo", já que os custos do absentismo, sinistralidade e falta de produtividade são bem mais elevados. Apesar de serem 1% do universo, as grandes empresas abrangem 20% dos trabalhadores. Já as PME terão "posteriormente um documento, mas devido à sua falta de recursos e menor intervenção da medicina do trabalho, a aposta será na prevenção e referenciação de casos".Na prática, as empresas terão de fazer um regulamento com "a política de intervenção na matéria. É suposto que seja discutida por todos os intervenientes, nomeadamente com representantes dos trabalhadores". O enquadramento da política, as acções preventivas e de informação, as regras dos testes e o encaminhamento dos doentes para tratamento "têm de ser do conhecimento de todos ", mesmo que a data dos testes não seja divulgada.Todas as regras serão definidas pelas empresas no regulamento, que será depois sujeito a decisão da Comissão de Protecção de Dados. "Caso seja aprovado, a decisão deles será vinculativa", o que significa que as empresas terão de cumprir o proposto.O documento foi desenvolvido em conjunto pelo IDT, Autoridade para as Condições do Trabalho, entidades patronais (CIP e CCP), parceiros sociais (UGT e CGTP), Direcção-Geral da Saúde, Sociedade Portuguesa da Medicina do Trabalho e Comissão Nacional da Protecção de Dados.
Os médicos do trabalho vão poder realizar testes aos consumos de álcool e drogas a trabalhadores, em especial aos que exerçam funções de risco, como, por exemplo, os que operam na área dos transportes ou construção civil. Um grupo de trabalho liderado pelo Instituto da Droga e da Toxicodependência (IDT) definiu as regras e os princípios que grandes empresas devem seguir para prevenir e tratar problemas ligados ao consumo. O documento Linhas Orientadoras para Intervenção em Meio Laboral terá o aval dos ministérios do Trabalho e da Saúde em breve.Calcula-se que "um milhão de portugueses tem problemas com o consumo de álcool e cem mil com drogas ilícitas. A maioria são pessoas activas", conta Mário Castro, do departamento de monitorização, formação e relações internacionais do IDT.Razões suficientes para que durante um ano um grupo restrito tivesse negociado este documento, que será em breve divulgado em público. "Queremos pôr isto na agenda das empresas e organizações públicas e privadas". Apesar de as empresas não serem obrigadas a pôr em prática medidas como o rastreio, Carlos Ramos Cleto, do núcleo de reinserção do IDT, acredita que "as empresas maiores terão interesse em fazê-lo", já que os custos do absentismo, sinistralidade e falta de produtividade são bem mais elevados. Apesar de serem 1% do universo, as grandes empresas abrangem 20% dos trabalhadores. Já as PME terão "posteriormente um documento, mas devido à sua falta de recursos e menor intervenção da medicina do trabalho, a aposta será na prevenção e referenciação de casos".Na prática, as empresas terão de fazer um regulamento com "a política de intervenção na matéria. É suposto que seja discutida por todos os intervenientes, nomeadamente com representantes dos trabalhadores". O enquadramento da política, as acções preventivas e de informação, as regras dos testes e o encaminhamento dos doentes para tratamento "têm de ser do conhecimento de todos ", mesmo que a data dos testes não seja divulgada.Todas as regras serão definidas pelas empresas no regulamento, que será depois sujeito a decisão da Comissão de Protecção de Dados. "Caso seja aprovado, a decisão deles será vinculativa", o que significa que as empresas terão de cumprir o proposto.O documento foi desenvolvido em conjunto pelo IDT, Autoridade para as Condições do Trabalho, entidades patronais (CIP e CCP), parceiros sociais (UGT e CGTP), Direcção-Geral da Saúde, Sociedade Portuguesa da Medicina do Trabalho e Comissão Nacional da Protecção de Dados.
domingo, 21 de novembro de 2010
Literatura Tóxica
Veja on line
Literatura tóxica
Dos poemas sobre o ópio aos romances sobre o ecstasy, como os escritores se relacionaram comas drogas nos últimos 200 anos
Carlos Graieb
Empregada originalmente como anestésico para cavalos, a ketamina transformou-se em Special K, uma droga popular nas raves, aquelas festas que duram até de manhã e são movidas a música tecno. Seu efeito mais marcante é produzir breves estados de apagão, durante os quais os usuários são sugados para o que chamam de "dimensão K". Ainda não se conhece nenhum poema ou ficção que trate dessa experiência, mas o crítico inglês Marcus Boon não tem dúvida de que eles logo surgirão, assim como já existem romances sobre o ecstasy. "Neste momento, algum adolescente está escrevendo um romance com o título Dimensão K", afirma ele. E isso acontece porque 200 anos de escrevinhação inspirada pelas drogas ou a respeito delas acabaram por consolidar um gênero literário. Em The Road of Excess (A Via do Excesso), Boon reconta a história desse gênero de maneira inovadora e cativante, apesar de acadêmica. Recém-lançado nos Estados Unidos, o livro aborda textos famosos e outros nem tanto, assim como fala de viciados confessos e de autores que preferiram não se alongar sobre suas experiências com substâncias clandestinas.
O fundador da literatura tóxica, diz Boon, foi o inglês Thomas De Quincey, que, em 1821, publicou Confissões de um Comedor de Ópio. Depois dele, outras figuras registraram suas viagens. O francês Charles Baudelaire criou a expressão "paraísos artificiais" em 1860, para descrever o estado induzido pelo haxixe e pelo láudano. Seu conterrâneo Henri Michaux, já no século XX, explorou os efeitos da mescalina. O alemão Walter Benjamin filosofou sobre o haxixe. O romancista inglês Aldous Huxley fez testes com psicodélicos. E os beats americanos, como Jack Kerouac e William Burroughs, banquetearam-se num verdadeiro smorgasbord de substâncias. Boon, no entanto, não se limita às figuras mais conhecidas.
The Road of Excess mostra que, se De Quincey inaugurou o discurso literário sobre as drogas, anteriormente já havia autores bastante íntimos delas. No século XVII, por exemplo, o poeta inglês John Dryden zombou em versos de um dramaturgo adversário por seu vício em ópio – um "remédio" que o crítico Dr. Johnson, na mesma época, também usava. Os românticos ingleses Keats, Byron e Shelley foram consumidores ocasionais do láudano – ao passo que seu colega Samuel Coleridge viciou-se realmente, de 1790 até sua morte, em 1834. Seu poema Kubla Khan, de 1816, é antecedido de uma nota que revela como "um sono induzido por droga" levou à composição. Na Alemanha, o poeta Novalis (1772-1801), apreciador do ópio, especulava filosoficamente sobre seu uso na criação de "um novo corpo". E até o extraordinário Goethe, uma das maiores figuras do século XVIII, pode ter dado um tapinha no haxixe – segundo um manuscrito descoberto recentemente na Áustria.
Marcus Boon também discute casos pouco explorados do período "pós-De Quincey". Um dos mais interessantes é o do francês Marcel Proust, autor de Em Busca do Tempo Perdido, um monumento literário modernista. Acometido de asma e problemas do sono, desde a adolescência ele tomou coquetéis que incluíam barbitúricos, ópio, morfina, heroína e éter. Embora louve a maneira como Proust refletiu, por exemplo, sobre o problema da percepção do tempo, a crítica até hoje negligencia o fato de que seu corpo "estava sempre inundado de substâncias que produzem exatamente as reações cognitivas descritas em seus livros". Outro exemplo curioso é o do filósofo Jean-Paul Sartre. Nos anos 50, ele se entupia de anfetaminas. Isso resultou num estilo palavroso e desordenado de escrita, e em obras virtualmente impenetráveis como Crítica da Razão Dialética e Saint Genet. Além desses estimulantes, Sartre também fez uso de um psicodélico, a mescalina. Seus colegas pensadores Martin Heidegger e Michel Foucault o imitaram nesse ponto, embora tenham preferido o LSD.
Segundo Marcus Boon, drogas diferentes produziram diferentes efeitos literários. Narcóticos como o ópio deram origem a uma espécie de gnosticismo – a crença de que o homem está preso num mundo corrompido, e de que a droga proporcionaria o vislumbre de um outro universo, autêntico, onde reside a verdade. O haxixe engendrou utopias de transformação social. Os psicodélicos ficaram associados a experiências esotéricas. Já os estimulantes, como a cocaína, são as drogas menos ligadas a idéias de transcendência ou espiritualidade. Desde cedo, elas foram tão-somente "ferramentas de trabalho" – a imagem clássica é a do beat Jack Kerouac ligadíssimo, datilografando dia e noite o romance Na Estrada num rolo de papel de parede. O poeta inglês W.H. Auden era outro que recorria a anfetaminas para trabalhar. Mas, nesse campo, ninguém bate o escritor de ficção científica Philip K. Dick, autor de Minority Report. Ele estava em permanente excitação química. Os estimulantes parecem ter-lhe sugerido vários personagens que são homens-máquina – e alguns que não sabem se são deuses ou aleijões.
Em momento nenhum Marcus Boon defende o uso de drogas. Pelo contrário, ele combate a idéia de que elas conduzam a uma experiência estética. Criada pelos românticos, e associada depois aos temas da rebeldia e da transgressão, essa idéia seria responsável por boa parte da mística em torno dos tóxicos. De fato, a leitura de The Road of Excess faz duvidar muito da capacidade das drogas de transformar alguém em artista. De Paraísos Artificiais, de Baudelaire, a Trainspotting, do escocês Irvine Welsh, passando por Uivo, do beat Allen Ginsberg, escritores chapados produziram alguns bons textos, mas nenhuma obra-prima – a menos que se queira creditar toda a produção de Proust ao éter ou à morfina. Mais ainda. "Desde 1950 não há avanços na literatura sobre narcóticos", escreve Boon. "Os mesmos relatos confessionais de vício e desintoxicação continuam sendo escritos. Os ambientes são diferentes, mas a história é a mesma: prazer, sofrimento, redenção ou perda." Como diria o doidíssimo William Burroughs, no fundo "nunca acontece nada no mundo das drogas".
Dos poemas sobre o ópio aos romances sobre o ecstasy, como os escritores se relacionaram comas drogas nos últimos 200 anos
Carlos Graieb
Empregada originalmente como anestésico para cavalos, a ketamina transformou-se em Special K, uma droga popular nas raves, aquelas festas que duram até de manhã e são movidas a música tecno. Seu efeito mais marcante é produzir breves estados de apagão, durante os quais os usuários são sugados para o que chamam de "dimensão K". Ainda não se conhece nenhum poema ou ficção que trate dessa experiência, mas o crítico inglês Marcus Boon não tem dúvida de que eles logo surgirão, assim como já existem romances sobre o ecstasy. "Neste momento, algum adolescente está escrevendo um romance com o título Dimensão K", afirma ele. E isso acontece porque 200 anos de escrevinhação inspirada pelas drogas ou a respeito delas acabaram por consolidar um gênero literário. Em The Road of Excess (A Via do Excesso), Boon reconta a história desse gênero de maneira inovadora e cativante, apesar de acadêmica. Recém-lançado nos Estados Unidos, o livro aborda textos famosos e outros nem tanto, assim como fala de viciados confessos e de autores que preferiram não se alongar sobre suas experiências com substâncias clandestinas.
O fundador da literatura tóxica, diz Boon, foi o inglês Thomas De Quincey, que, em 1821, publicou Confissões de um Comedor de Ópio. Depois dele, outras figuras registraram suas viagens. O francês Charles Baudelaire criou a expressão "paraísos artificiais" em 1860, para descrever o estado induzido pelo haxixe e pelo láudano. Seu conterrâneo Henri Michaux, já no século XX, explorou os efeitos da mescalina. O alemão Walter Benjamin filosofou sobre o haxixe. O romancista inglês Aldous Huxley fez testes com psicodélicos. E os beats americanos, como Jack Kerouac e William Burroughs, banquetearam-se num verdadeiro smorgasbord de substâncias. Boon, no entanto, não se limita às figuras mais conhecidas.
The Road of Excess mostra que, se De Quincey inaugurou o discurso literário sobre as drogas, anteriormente já havia autores bastante íntimos delas. No século XVII, por exemplo, o poeta inglês John Dryden zombou em versos de um dramaturgo adversário por seu vício em ópio – um "remédio" que o crítico Dr. Johnson, na mesma época, também usava. Os românticos ingleses Keats, Byron e Shelley foram consumidores ocasionais do láudano – ao passo que seu colega Samuel Coleridge viciou-se realmente, de 1790 até sua morte, em 1834. Seu poema Kubla Khan, de 1816, é antecedido de uma nota que revela como "um sono induzido por droga" levou à composição. Na Alemanha, o poeta Novalis (1772-1801), apreciador do ópio, especulava filosoficamente sobre seu uso na criação de "um novo corpo". E até o extraordinário Goethe, uma das maiores figuras do século XVIII, pode ter dado um tapinha no haxixe – segundo um manuscrito descoberto recentemente na Áustria.
Marcus Boon também discute casos pouco explorados do período "pós-De Quincey". Um dos mais interessantes é o do francês Marcel Proust, autor de Em Busca do Tempo Perdido, um monumento literário modernista. Acometido de asma e problemas do sono, desde a adolescência ele tomou coquetéis que incluíam barbitúricos, ópio, morfina, heroína e éter. Embora louve a maneira como Proust refletiu, por exemplo, sobre o problema da percepção do tempo, a crítica até hoje negligencia o fato de que seu corpo "estava sempre inundado de substâncias que produzem exatamente as reações cognitivas descritas em seus livros". Outro exemplo curioso é o do filósofo Jean-Paul Sartre. Nos anos 50, ele se entupia de anfetaminas. Isso resultou num estilo palavroso e desordenado de escrita, e em obras virtualmente impenetráveis como Crítica da Razão Dialética e Saint Genet. Além desses estimulantes, Sartre também fez uso de um psicodélico, a mescalina. Seus colegas pensadores Martin Heidegger e Michel Foucault o imitaram nesse ponto, embora tenham preferido o LSD.
Segundo Marcus Boon, drogas diferentes produziram diferentes efeitos literários. Narcóticos como o ópio deram origem a uma espécie de gnosticismo – a crença de que o homem está preso num mundo corrompido, e de que a droga proporcionaria o vislumbre de um outro universo, autêntico, onde reside a verdade. O haxixe engendrou utopias de transformação social. Os psicodélicos ficaram associados a experiências esotéricas. Já os estimulantes, como a cocaína, são as drogas menos ligadas a idéias de transcendência ou espiritualidade. Desde cedo, elas foram tão-somente "ferramentas de trabalho" – a imagem clássica é a do beat Jack Kerouac ligadíssimo, datilografando dia e noite o romance Na Estrada num rolo de papel de parede. O poeta inglês W.H. Auden era outro que recorria a anfetaminas para trabalhar. Mas, nesse campo, ninguém bate o escritor de ficção científica Philip K. Dick, autor de Minority Report. Ele estava em permanente excitação química. Os estimulantes parecem ter-lhe sugerido vários personagens que são homens-máquina – e alguns que não sabem se são deuses ou aleijões.
Em momento nenhum Marcus Boon defende o uso de drogas. Pelo contrário, ele combate a idéia de que elas conduzam a uma experiência estética. Criada pelos românticos, e associada depois aos temas da rebeldia e da transgressão, essa idéia seria responsável por boa parte da mística em torno dos tóxicos. De fato, a leitura de The Road of Excess faz duvidar muito da capacidade das drogas de transformar alguém em artista. De Paraísos Artificiais, de Baudelaire, a Trainspotting, do escocês Irvine Welsh, passando por Uivo, do beat Allen Ginsberg, escritores chapados produziram alguns bons textos, mas nenhuma obra-prima – a menos que se queira creditar toda a produção de Proust ao éter ou à morfina. Mais ainda. "Desde 1950 não há avanços na literatura sobre narcóticos", escreve Boon. "Os mesmos relatos confessionais de vício e desintoxicação continuam sendo escritos. Os ambientes são diferentes, mas a história é a mesma: prazer, sofrimento, redenção ou perda." Como diria o doidíssimo William Burroughs, no fundo "nunca acontece nada no mundo das drogas".
Nederland e o uso medicinal da maconha
http://www.gazetaweb.globo.com/
Susan Eisman, da loja de maconha medicinal Grateful Meds, em Nederland, Colorado, em 28 de outubro. (Foto: The New York Times)
20.11.2010 09h30
Maconha é motivo de orgulho nas montanhas do Colorado
Em Nederland, usos medicinal e recreativo da substância se misturam. Para defensores, 'padrão' vem do melhor conhecimento da marijuana.
Milhões de americanos expressaram sua opinião sobre maconha nas recentes eleições de meio de mandato. No Colorado, 24 comunidades votaram para banir ou restringir lojas que vendem maconha legalmente, para uso médico. Na Califórnia, os eleitores se dividiram na questão da legalização da erva para uso recreativo – envolvendo itens como saúde, criminalidade e impostos – e votaram contra.Mas aqui em Nederland foi apenas mais um belo dia nas montanhas.A maconha tem estado em voga neste posto avançado da contracultura, a 2.438 metros de altura nas Montanhas Rochosas e uma hora a noroeste de Denver, desde os dias dos "bagulhos" do tamanho de um cigarro de Bob Marley e das piadas de Cheech e Chong.A julgar pelos números, as coisas não mudaram tanto.Uma aumento expressivo nas vendas de maconha para uso medicinal no último ano aqui no Colorado, assim como no Distrito de Columbia e outros 13 estados onde esse uso é permitido, certamente trouxe um novo elemento para a mistura. Lojas como a Grateful Meds, um dos sete fornecedores de maconha para uso medicinal em Nederland, cuja população é de 1.400 habitantes, agora possuem advogados para o cumprimento da lei e recibos de recolhimento de impostos sobre vendas na gaveta de dinheiro.Mas maconha ainda é maconha, e a posição de Nederland sobre o que John Denver imortalizou como "a viagem das Montanhas Rochosas do Colorado" não mudou.Registros estaduais mostram que a concentração de pacientes que utilizam maconha para fins medicinais e lojas que vendem cannabis para esse fim é maior nesta antiga área hippie do Colorado do que em qualquer outro local do estado.
Maconha é motivo de orgulho nas montanhas do Colorado
Em Nederland, usos medicinal e recreativo da substância se misturam. Para defensores, 'padrão' vem do melhor conhecimento da marijuana.
Milhões de americanos expressaram sua opinião sobre maconha nas recentes eleições de meio de mandato. No Colorado, 24 comunidades votaram para banir ou restringir lojas que vendem maconha legalmente, para uso médico. Na Califórnia, os eleitores se dividiram na questão da legalização da erva para uso recreativo – envolvendo itens como saúde, criminalidade e impostos – e votaram contra.Mas aqui em Nederland foi apenas mais um belo dia nas montanhas.A maconha tem estado em voga neste posto avançado da contracultura, a 2.438 metros de altura nas Montanhas Rochosas e uma hora a noroeste de Denver, desde os dias dos "bagulhos" do tamanho de um cigarro de Bob Marley e das piadas de Cheech e Chong.A julgar pelos números, as coisas não mudaram tanto.Uma aumento expressivo nas vendas de maconha para uso medicinal no último ano aqui no Colorado, assim como no Distrito de Columbia e outros 13 estados onde esse uso é permitido, certamente trouxe um novo elemento para a mistura. Lojas como a Grateful Meds, um dos sete fornecedores de maconha para uso medicinal em Nederland, cuja população é de 1.400 habitantes, agora possuem advogados para o cumprimento da lei e recibos de recolhimento de impostos sobre vendas na gaveta de dinheiro.Mas maconha ainda é maconha, e a posição de Nederland sobre o que John Denver imortalizou como "a viagem das Montanhas Rochosas do Colorado" não mudou.Registros estaduais mostram que a concentração de pacientes que utilizam maconha para fins medicinais e lojas que vendem cannabis para esse fim é maior nesta antiga área hippie do Colorado do que em qualquer outro local do estado.
Susan Eisman, da loja de maconha medicinal Grateful Meds, em Nederland, Colorado, em 28 de outubro. (Foto: The New York Times)
Em Gilpin County, por exemplo, que começa na entrada de Nederland, quase um em cada 20 moradores se qualifica para o tratamento com cannabis – o nível mais alto no Colorado, e mais de três vezes a média do estado. A lei estadual, aprovada por um referendo de eleitores em 2000, permite o tratamento com maconha para uma lista de enfermidades, de câncer a dor crônica, se um médico verifica a necessidade.E os médicos vêm fazendo um favor. O padrão "doente o suficiente para fumar maconha" se estende pelo oeste de Nederland, através de um arquipélago de comunidades que foram igualmente tingidas de tie-dye uma geração atrás e agora são a base para a indústria de turismo e resorts do estado.Os condados de Summit e Pitkin, lar de cidades conhecidas pela prática de esqui, como Breckenridge, Keystone e Aspen, se orgulham de uma cultura saudável de atividades a céu aberto, mas também possuem uma quantidade desproporcional de casos de dor debilitante diagnosticada em jovens rapazes na casa dos 20 e poucos anos, como mostram registros do estado."Quem imaginaria dores tão severas afligindo os homens do Colorado?", disse Ron Hyman, registrador do estado de estatísticas e diretor do programa de maconha para uso medicinal do Departamento de Saúde Pública e Ambiente do Colorado.Moradores de Nederland, como Hal Mobley, 56 anos, que estava a caminho da barbearia, perguntou mais ou menos a mesma coisa. A maconha faz parte da vida local, ele disse – não está mais disponível, nem menos, o uso continua o mesmo de décadas atrás."É para dor?", ele disse, protegendo os olhos por causa do sol.
Bem, a maconha também é um bom remédio para o orçamento municipal de Nederland. A arrecadação de impostos está em alta – em parte devido aos turistas que gastam dinheiro em restaurantes e lojas, mas muito mais em decorrência das vendas de maconha.Somente em junho, enquanto muitas comunidades nos Estados Unidos ainda sofriam com a estagnação econômica, os impostos sobre vendas coletados em Nederland subiram 54% em relação a junho de 2009. Sem o imposto coletado sobre a maconha, o aumento seria de 22%."Já estava aqui, provavelmente uma capacidade ilegal, há muito tempo, mas agora há uma oportunidade para a indústria", disse o prefeito de Nederland, Sumaya Abu-Haidar. "Há uma oportunidade de livre iniciativa, para as pessoas ganharem a vida de uma forma que não estava disponível antes".Philip Dyer, 45 anos, músico local, colocou de outra forma. O governo, ele disse, "finalmente ficou esperto o suficiente para regular e cobrar o preço".Defensores da maconha para uso medicinal dizem que o padrão – uso medicinal mais predominante em lugares de uso historicamente recreativo – é simplesmente um reflexo do melhor conhecimento sobre a droga e suas propriedades. Pessoas de comunidades onde a maconha é aceita, eles dizem, sabem mais sobre seus benefícios medicinais do que a população de outras partes do estado, onde os pacientes de maconha são raros.Mesmo assim, os moradores dizem que as coisas estão mudando.De acordo com autoridades municipais, uma mudança demográfica nos últimos anos, com mais famílias, profissionais, trabalhadores da área de tecnologia e pessoas que trabalham em casa, criou tensões sobre questões de crescimento, desenvolvimento, turismo – e maconha, com muitos dos recém-chegados menos entusiasmados do que a velha guarda em relação à reputação de "maconheira" de Nederland.No início deste ano, Nederland se tornou a terceira comunidade no Colorado a descriminalizar o uso recreativo da maconha. Porém, o voto, em grande parte simbólico, já que o uso recreativo ainda é ilegal de acordo com leis estaduais e federais, dividiu profundamente a comunidade. A legalização foi aprovada, mas por apenas 41% dos 477 votos computados. Uma proposta para realizar um festival de cannabis na cidade enfrentou grande oposição e foi recusado.Entretanto, a cidade ainda tem reputação de ter boa maconha, um orgulho sobre o qual a advogada da Grateful Meds, Susan Eisman, fica feliz em falar, durante uma visita à loja. Enquanto muitas lojas têm talvez cinco variedades de maconha à disposição, a Grateful Meds possui 30, e atende a cerca de 300 pacientes."Temos pacientes que vêm de todo o estado do Colorado", disse Eisman. "E o principal motivo é a qualidade, quantidade, seleção e reputação. Outro dia um paciente veio de Longmont, a uma hora daqui, porque gostava de um tipo particular de maconha e não consegue obtê-lo em nenhum outro lugar."
Paíse estrangeiros copiam modelo de dissuassão da droga
www.jn.sapo.pt
Países estrangeiros copiam modelo de dissuasão da droga
Clara Vasconcelos
Clara Vasconcelos
Noruega e Reino Unido preparam-se para instalar Comissões de Dissuasão da Droga idênticos aos existentes em Portugal. A coordenadora destas comissões considera o projecto um "sucesso". Quem já lá foi obrigado a ir diz que "não servem para nada".
A poucos meses de completarem dez anos de existência, as Comissões de Dissuasão da Droga e da Toxicodependência instruíram já cerca de 67 mil processos.
Foram criadas no âmbito da descriminalização da droga, de 2001. Pessoas apanhadas com uma porção de droga (o necessário para dez dias de consumo) deixaram de ser encaminhadas para os tribunais e passaram a ser levadas para estas comissões.
Existem 18, em todo o país. Aí, técnicos de Psicologia, Sociologia, juristas e assistentes sociais fazem a avaliação da situação. Se é consumidor acidental pode ser sujeito a medidas de coacção que passam por apresentações periódicas no posto policial da zona de residência ou interdição de frequentar determinado local. Se reincidirem, são-lhes aplicadas multas que podem ir até ao salário mínimo nacional.
Quando se trata de toxicodependentes ou de consumidores com risco de adição são encaminhados para tratamento.
Quem explica tudo isto é Paula Vitória, responsável pelo gabinete coordenador das comissões, que funciona junto do Instituto da Droga e da Toxicodependência. Jurista de formação, considera que o projecto tem sido "um sucesso". Desanuviou os tribunais, fez com que o pequeno crime diminuísse e abriu uma porta de entrada no sistema, para aqueles que querem tratar-se.
Os consumidores ocasionais, segundo diz, também se sentem inibidos a consumir, uma vez que as medidas de coacção "acabam por ser bastante dissuasórias".
Se recusarem a deslocação à comissão são notificados nas suas residências e condenados ao pagamento de multa.
O modelo foi já adoptado em países como o México, a Argentina e a República Checa. E está em processo de aprovação no Reino Unido e Noruega. Estados Unidos e Austrália também já se revelaram interessados, segundo Paula Vitória.
A coordenadora lamenta apenas a falta de meios. "É preciso continuar a investir e reforçar o pessoal, sobretudo psicólogos".A Comissão de Braga, por exemplo, não está a funcionar em pleno. Falta um psicólogo, elemento fundamental para a análise da situação do consumidor.
Pedro Pombeiro, da Comissão de Legalização da Marijuana, duvida muito da eficácia destas comissões. "A toxicodependência é uma doença e, como, tal deve ser tratada no Serviço Nacional de Saúde. Por vontade do próprio e não por obrigação", diz, ao JN.
Defende igualmente que os consumidores ocasionais não devem ser importunados: "fumar um charro não mata ninguém!". E sugere que o dinheiro gasto com estas comissões seja "usado para quem realmente precisa". No Serviço Nacional de Saúde, para que aqueles que querem tratar-se "não tenham que recorrer a clínicas".
Descriminalização do uso de drogas: Lidiane Leite
Barriga Verde
Colunistas > Lidiane Leite
21 de Novembro de 2010 - 00:00
DESCRIMINALIZAÇÃO DO USO DE DROGAS
Edição Impressa
O uso de drogas em todo o mundo, inclusive em nossa cidade, é algo realmente preocupável. A droga está acessível demais a qualquer pessoa, aos traficantes, aos viciados, enfim, a todos aqueles que se utilizam da mesma de uma ou de outra forma.
Particularmente, em se tratando de liberação do uso de entorpecentes, sou completamente contra, seja ele do tipo que for. Hoje se libera uma droga um pouco menos prejudicial, amanhã surgem variações de um tipo de droga altamente nocivo e as drogas que hoje são muito fortes serão liberadas também amanhã devido ao surgimento de novas drogas muito mais fortes. Onde isso vai parar?
Gostaria de fazer um paralelo à discussão sobre a redução da maioridade penal. Não adianta em nada reduzir a idade penal, já que os crimes estão sendo cometidos por menores cada vez mais novos. Da mesma forma, liberar o uso de drogas facilita ou diminui o crime? Não adianta deixar de punir os crimes relacionados ao narcotráfico para assim dizer que o índice criminal reduziu.
Descriminalizar é a solução? É importante enfatizar que nem todos que são a favor da descriminalização das drogas defendem a legalização. São duas coisas diferentes.
Na descriminalização, as substâncias ilícitas continuam proibidas, com a diferença de que os usuários deixam de responder a processos criminais, somente responde quem vende ou distribui gratuitamente. Já na legalização, não somente o uso como também a produção e a venda passam a ser legalizadas. Neste caso, as drogas seriam taxadas e controladas pelo Estado, em suas especificidades, da mesma forma que ocorre hoje com o tabaco e o álcool.
Tanto na legalização quanto na descriminalização, o objetivo é tornar a droga um problema de saúde pública, deixando de onerar os governos na repressão ao narcotráfico e manutenção de penitenciárias superlotadas.
A idéia de que o as pessoas dentro de um país devem ser livres, também possui um limite, onde termina o direito de um, começa o direito do outro. Ter liberdade não significa cada um fazer aquilo que quer, pois quando se entra no mundo das drogas, acaba-se por influenciar na vida de muitas outras pessoas que não gostariam de se envolver.
Liberar o uso de drogas é colaborar com a marginalização expressa. Não é a solução de um problema, é a cumplicidade com a falta de coragem em enfrentá-lo.
21 de Novembro de 2010 - 00:00
DESCRIMINALIZAÇÃO DO USO DE DROGAS
Edição Impressa
O uso de drogas em todo o mundo, inclusive em nossa cidade, é algo realmente preocupável. A droga está acessível demais a qualquer pessoa, aos traficantes, aos viciados, enfim, a todos aqueles que se utilizam da mesma de uma ou de outra forma.
Particularmente, em se tratando de liberação do uso de entorpecentes, sou completamente contra, seja ele do tipo que for. Hoje se libera uma droga um pouco menos prejudicial, amanhã surgem variações de um tipo de droga altamente nocivo e as drogas que hoje são muito fortes serão liberadas também amanhã devido ao surgimento de novas drogas muito mais fortes. Onde isso vai parar?
Gostaria de fazer um paralelo à discussão sobre a redução da maioridade penal. Não adianta em nada reduzir a idade penal, já que os crimes estão sendo cometidos por menores cada vez mais novos. Da mesma forma, liberar o uso de drogas facilita ou diminui o crime? Não adianta deixar de punir os crimes relacionados ao narcotráfico para assim dizer que o índice criminal reduziu.
Descriminalizar é a solução? É importante enfatizar que nem todos que são a favor da descriminalização das drogas defendem a legalização. São duas coisas diferentes.
Na descriminalização, as substâncias ilícitas continuam proibidas, com a diferença de que os usuários deixam de responder a processos criminais, somente responde quem vende ou distribui gratuitamente. Já na legalização, não somente o uso como também a produção e a venda passam a ser legalizadas. Neste caso, as drogas seriam taxadas e controladas pelo Estado, em suas especificidades, da mesma forma que ocorre hoje com o tabaco e o álcool.
Tanto na legalização quanto na descriminalização, o objetivo é tornar a droga um problema de saúde pública, deixando de onerar os governos na repressão ao narcotráfico e manutenção de penitenciárias superlotadas.
A idéia de que o as pessoas dentro de um país devem ser livres, também possui um limite, onde termina o direito de um, começa o direito do outro. Ter liberdade não significa cada um fazer aquilo que quer, pois quando se entra no mundo das drogas, acaba-se por influenciar na vida de muitas outras pessoas que não gostariam de se envolver.
Liberar o uso de drogas é colaborar com a marginalização expressa. Não é a solução de um problema, é a cumplicidade com a falta de coragem em enfrentá-lo.
sexta-feira, 19 de novembro de 2010
Criminalidad, narcotráfico e impunidad amenazam la democracia en el hemisferio
19 Noviembre, 2010
TEGUCIGALPA.- La democracia del hemisferio está seriamente amenazada por la criminalidad, el narcotráfico, la corrupción y la impunidad, advirtió ayer John Francis Maisto, ex embajador de Estados Unidos en Venezuela y ex asistente especial del ex presidente George W. Bush.
John Maisto: “Yo creo y subrayo que Honduras debe ser miembro ya de la OEA”.
Según Maisto, después de la caída de la entonces Unión de Repúblicas Socialistas Soviéticas (ex URSS), en el continente se ha visto florecer la democracia, lo cual quiere decir que los gobernantes llegan por elecciones, excepto en Cuba.
Aunque una cosa es ser escogido en elecciones democráticas y otra cosa es que por esa ruta los pueblos tengan gobiernos democráticos, reflexionó.
Para que haya democracia, señaló en conversatorio con periodistas, debe haber gobernabilidad, división e independencia de poderes y partidos políticos que funcionen.
Pero hoy día, la democracia está amenazada y en países como Honduras para fortalecerla hay que combatir los exagerados niveles de pobreza y las desigualdades sociales, sugirió.
AMENAZAS LATENTES
Sin embargo, las amenazas más latentes en contra de la democracia son la criminalidad, el narcotráfico, la corrupción y la impunidad, enfatizó el ex diplomático estadounidense.
En su opinión, los jueces y policías deben ser mejor pagados para combatir y enfrentar la impunidad y la corrupción.
Así, agregó que en el continente hay países que están en rumbo correcto, pero tienen dificultades en materias de derechos humanos y corrupción y con un Poder Ejecutivo tratando de tener más poder.
Para Maisto, las naciones con esas características están o tienen un modelo que se llama democrático, pero van al sistema tipo caudillo.
Pero las primeras amenazas para la democracia de los países, como en América Central y México, son la inseguridad personal, el tráfico de drogas y las pandillas. Después de Estados Unidos, Brasil es el segundo país del mundo donde más se consumen drogas, reveló.
SOCIEDAD Y POPULISMO
La falta de un Estado de derecho confiable también socava la democracia porque la sociedad no soporta a la gente que tiene impunidad y que la justicia no se aplique de forma equitativa.
Y ligado a ello, apuntó, figura la corrupción que está en todos los países, incluido al mismo Estados Unidos, y la forma de combatir ese flagelo es fortaleciendo el Estado de derecho.
Otra amenaza para la democracia es la venta de armas que vienen desde Estados Unidos para las pandillas y el crimen organizado, indicó.
Agregó que en el continente se habla mucho de populismo, pero la representatividad es lo que más importa en la democracia y a Estados Unidos como al mundo occidental no le importa si la misma es de centro izquierda o de izquierda, porque lo que importa, reflexionó, es que los gobiernos hagan su trabajo democráticamente con políticas socioeconómicas para que la población tenga salud, educación y empleo. Y los gobiernos inteligentes hacen eso, relacionó.
LA POBREZA
Maisto señaló que Honduras pasa por un tiempo difícil y su mayor problema es la pobreza porque es exageradamente grande.
Pero siempre existen cosas positivas y muchas preocupaciones, sobre todo porque hay cifras estadísticas que hablan por la sociedad hondureña.
Para el caso, detalló que esas mismas estadísticas revelan que la situación económica de un 59 por ciento de la población hondureña empeoró con relación al último año.
Además, afirmó que el 83 por ciento no está nada satisfecho con la democracia de Honduras, pero un 64 por ciento quiere que los líderes que van a transformar el país, lo hagan dentro del sistema democrático.
También los datos apuntan que un 50 por ciento de la población piensa que la democracia está en crisis, otro 20 por ciento dice que no hay democracia.
Con relación a la situación de los derechos humanos y las muertes de periodistas, indicó que la Comisión Interamericana de Derechos Humanos (CIDH) las tiene documentadas, pero afortunadamente el presente gobierno ha sido inteligente en invitar a esta instancia para que verifique.
PARTIDOS Y REINTEGRO A OEA
De esta forma, precisó que son los mismos hondureños quienes decidirán sobre el futuro de su democracia, aunque para fortalecerla sugirió que los partidos políticos se deben modernizar y actualizarse.
Así, pidió a la población no demandar lo imposible de sus líderes, aunque sí deben exigir el fortalecimiento de las instituciones. Instó a los medios de comunicación social a ser ecuánimes y no redactar noticias con un color político porque la gente quiere saber lo que está pasando y eso es un deber de los medios.
También, se pronunció a favor que Honduras debe ser reintegrada cuanto antes al seno de la Organización de Estados Americanos (OEA).
“Yo creo y subrayo que Honduras debe ser miembro ya de la OEA, han tenido una elección, tienen la puerta abierta para la Comisión Interamericana de Derechos Humanos, están trabajando, tratando de mejorar su situación y yo no acepto esta resistencia por algunos países”, declaró.
“Yo creo que el pueblo hondureño merece representación en la Organización de Estados Americanos”, reiteró.
El ex embajador Maisto llegó a Honduras bajo el Programa de Conferencistas Internacionales del Departamento de Estado, para impartir diferentes exposiciones magistrales sobre “Democracia y Gobernabilidad: Los retos de la Democracia en Latinoamérica”.
TEGUCIGALPA.- La democracia del hemisferio está seriamente amenazada por la criminalidad, el narcotráfico, la corrupción y la impunidad, advirtió ayer John Francis Maisto, ex embajador de Estados Unidos en Venezuela y ex asistente especial del ex presidente George W. Bush.
John Maisto: “Yo creo y subrayo que Honduras debe ser miembro ya de la OEA”.
Según Maisto, después de la caída de la entonces Unión de Repúblicas Socialistas Soviéticas (ex URSS), en el continente se ha visto florecer la democracia, lo cual quiere decir que los gobernantes llegan por elecciones, excepto en Cuba.
Aunque una cosa es ser escogido en elecciones democráticas y otra cosa es que por esa ruta los pueblos tengan gobiernos democráticos, reflexionó.
Para que haya democracia, señaló en conversatorio con periodistas, debe haber gobernabilidad, división e independencia de poderes y partidos políticos que funcionen.
Pero hoy día, la democracia está amenazada y en países como Honduras para fortalecerla hay que combatir los exagerados niveles de pobreza y las desigualdades sociales, sugirió.
AMENAZAS LATENTES
Sin embargo, las amenazas más latentes en contra de la democracia son la criminalidad, el narcotráfico, la corrupción y la impunidad, enfatizó el ex diplomático estadounidense.
En su opinión, los jueces y policías deben ser mejor pagados para combatir y enfrentar la impunidad y la corrupción.
Así, agregó que en el continente hay países que están en rumbo correcto, pero tienen dificultades en materias de derechos humanos y corrupción y con un Poder Ejecutivo tratando de tener más poder.
Para Maisto, las naciones con esas características están o tienen un modelo que se llama democrático, pero van al sistema tipo caudillo.
Pero las primeras amenazas para la democracia de los países, como en América Central y México, son la inseguridad personal, el tráfico de drogas y las pandillas. Después de Estados Unidos, Brasil es el segundo país del mundo donde más se consumen drogas, reveló.
SOCIEDAD Y POPULISMO
La falta de un Estado de derecho confiable también socava la democracia porque la sociedad no soporta a la gente que tiene impunidad y que la justicia no se aplique de forma equitativa.
Y ligado a ello, apuntó, figura la corrupción que está en todos los países, incluido al mismo Estados Unidos, y la forma de combatir ese flagelo es fortaleciendo el Estado de derecho.
Otra amenaza para la democracia es la venta de armas que vienen desde Estados Unidos para las pandillas y el crimen organizado, indicó.
Agregó que en el continente se habla mucho de populismo, pero la representatividad es lo que más importa en la democracia y a Estados Unidos como al mundo occidental no le importa si la misma es de centro izquierda o de izquierda, porque lo que importa, reflexionó, es que los gobiernos hagan su trabajo democráticamente con políticas socioeconómicas para que la población tenga salud, educación y empleo. Y los gobiernos inteligentes hacen eso, relacionó.
LA POBREZA
Maisto señaló que Honduras pasa por un tiempo difícil y su mayor problema es la pobreza porque es exageradamente grande.
Pero siempre existen cosas positivas y muchas preocupaciones, sobre todo porque hay cifras estadísticas que hablan por la sociedad hondureña.
Para el caso, detalló que esas mismas estadísticas revelan que la situación económica de un 59 por ciento de la población hondureña empeoró con relación al último año.
Además, afirmó que el 83 por ciento no está nada satisfecho con la democracia de Honduras, pero un 64 por ciento quiere que los líderes que van a transformar el país, lo hagan dentro del sistema democrático.
También los datos apuntan que un 50 por ciento de la población piensa que la democracia está en crisis, otro 20 por ciento dice que no hay democracia.
Con relación a la situación de los derechos humanos y las muertes de periodistas, indicó que la Comisión Interamericana de Derechos Humanos (CIDH) las tiene documentadas, pero afortunadamente el presente gobierno ha sido inteligente en invitar a esta instancia para que verifique.
PARTIDOS Y REINTEGRO A OEA
De esta forma, precisó que son los mismos hondureños quienes decidirán sobre el futuro de su democracia, aunque para fortalecerla sugirió que los partidos políticos se deben modernizar y actualizarse.
Así, pidió a la población no demandar lo imposible de sus líderes, aunque sí deben exigir el fortalecimiento de las instituciones. Instó a los medios de comunicación social a ser ecuánimes y no redactar noticias con un color político porque la gente quiere saber lo que está pasando y eso es un deber de los medios.
También, se pronunció a favor que Honduras debe ser reintegrada cuanto antes al seno de la Organización de Estados Americanos (OEA).
“Yo creo y subrayo que Honduras debe ser miembro ya de la OEA, han tenido una elección, tienen la puerta abierta para la Comisión Interamericana de Derechos Humanos, están trabajando, tratando de mejorar su situación y yo no acepto esta resistencia por algunos países”, declaró.
“Yo creo que el pueblo hondureño merece representación en la Organización de Estados Americanos”, reiteró.
El ex embajador Maisto llegó a Honduras bajo el Programa de Conferencistas Internacionales del Departamento de Estado, para impartir diferentes exposiciones magistrales sobre “Democracia y Gobernabilidad: Los retos de la Democracia en Latinoamérica”.
terça-feira, 16 de novembro de 2010
NORML
15 de novembro de 2010
TERRA
O Brasil está prestes a receber uma das ONGs mais atuantes no cenário internacional que defende a liberação da maconha. A NORLM (sigla em inglês para Organização Nacional para a Reforma das Leis sobre Maconha), que foi fundada em 1970 nos Estados Unidos e se faz presente em outros cinco países, trabalha para abrir uma sede em Niterói (RJ).
O diretor da NORML no Brasil, Ranieri Guimarães, garante que o objetivo da ONG no País é meramente informativo e não tem nada a ver com apologia. "Ninguém aqui está querendo vender baseado ilegal e, sim, mostrar que nem a maconha é tão nociva assim, e nem o seu comércio legalizado deve ser descartado, pois se o tráfico ganha dinheiro com isso, quem está perdendo é a população, que poderia se beneficiar da arrecadação proveniente da taxação do comércio de maconha e ainda ver os índices de criminalidade reduzidos", afirmou.
A versão americana da ONG tem políticas mais agressivas. A NORML afirma representar os interesses de "dezenas de milhares de americanos que fumam maconha responsavelmente". Lá, a bandeira é pela legalização do consumo, da produção e venda da maconha.
A NORML chega ao Brasil após ter concentrado seus esforços na campanha para a legalização da maconha na Califórnia. A chamada Lei 19, que regularizaria diversas atividades relacionadas à erva, como plantio e consumo, foi votada no dia 2 de novembro e rejeitada por 54% dos eleitores, contra 46% que votaram a favor.
No Brasil, a NORML informa que, inicialmente, vai atuar pela descriminalização da maconha para uso medicinal e industrial. A organização defende que a droga possa ser usada para o tratamento de dores crônicas, substituindo medicamentos que trariam efeitos colaterais piores que os da maconha. Em nível industrial, a NORML defende que a Cannabis ruderalis, uma variação da mesma erva que não contém a substância psicoativa da Cannabis sativa, pode servir como matéria prima para a confecção de tecidos.
Ranieri afirmou que a ONG no Brasil deve seguir a mesma tendência de sua matriz nos Estados Unidos: "a NORML é conhecida pela importante militância que faz, especialmente, junto ao governo, pressionando por políticas anti-drogas mais coerentes". Ele disse ainda que não há qualquer intenção de descumprir as leis brasileiras. "Ninguém está fazendo apologia às drogas e, portanto, não corremos esse risco. O que estamos fazendo é justamente oferecendo ao brasileiro a informação que o governo não divulga, por razões que, por enquanto, deconhecemos".
Mesmo assim, para o presidente da Comissão de Combate às Drogas e à Dependência Química da OAB-RJ, Wanderley Rebello, a ONG pode enfrentar problemas no País. "Aqui no Brasil eles poderão sofrer represálias, devendo tomar cuidado com a apologia ao uso, onde poderão ser incriminados".
Na opinião do jurista, a NORML tem o direito de manifestar seus pensamentos e opiniões de forma democrática. No entanto, Rebello aconselha orientação jurídica para que as manifestações da ONG não incidam em crime: "o limite da liberdade de expressão está na hipocrisia legal que ainda existe, infelizmente. A linha jurídica está na sorte, pois 'para cada cabeça há uma sentença'. Parece brincadeira, mas não é. Um juiz vai interpretar de uma forma, outro de outra, já vi muitas vezes acontecer".
O diretor da NORML no Brasil, Ranieri Guimarães, garante que o objetivo da ONG no País é meramente informativo e não tem nada a ver com apologia. "Ninguém aqui está querendo vender baseado ilegal e, sim, mostrar que nem a maconha é tão nociva assim, e nem o seu comércio legalizado deve ser descartado, pois se o tráfico ganha dinheiro com isso, quem está perdendo é a população, que poderia se beneficiar da arrecadação proveniente da taxação do comércio de maconha e ainda ver os índices de criminalidade reduzidos", afirmou.
A versão americana da ONG tem políticas mais agressivas. A NORML afirma representar os interesses de "dezenas de milhares de americanos que fumam maconha responsavelmente". Lá, a bandeira é pela legalização do consumo, da produção e venda da maconha.
A NORML chega ao Brasil após ter concentrado seus esforços na campanha para a legalização da maconha na Califórnia. A chamada Lei 19, que regularizaria diversas atividades relacionadas à erva, como plantio e consumo, foi votada no dia 2 de novembro e rejeitada por 54% dos eleitores, contra 46% que votaram a favor.
No Brasil, a NORML informa que, inicialmente, vai atuar pela descriminalização da maconha para uso medicinal e industrial. A organização defende que a droga possa ser usada para o tratamento de dores crônicas, substituindo medicamentos que trariam efeitos colaterais piores que os da maconha. Em nível industrial, a NORML defende que a Cannabis ruderalis, uma variação da mesma erva que não contém a substância psicoativa da Cannabis sativa, pode servir como matéria prima para a confecção de tecidos.
Ranieri afirmou que a ONG no Brasil deve seguir a mesma tendência de sua matriz nos Estados Unidos: "a NORML é conhecida pela importante militância que faz, especialmente, junto ao governo, pressionando por políticas anti-drogas mais coerentes". Ele disse ainda que não há qualquer intenção de descumprir as leis brasileiras. "Ninguém está fazendo apologia às drogas e, portanto, não corremos esse risco. O que estamos fazendo é justamente oferecendo ao brasileiro a informação que o governo não divulga, por razões que, por enquanto, deconhecemos".
Mesmo assim, para o presidente da Comissão de Combate às Drogas e à Dependência Química da OAB-RJ, Wanderley Rebello, a ONG pode enfrentar problemas no País. "Aqui no Brasil eles poderão sofrer represálias, devendo tomar cuidado com a apologia ao uso, onde poderão ser incriminados".
Na opinião do jurista, a NORML tem o direito de manifestar seus pensamentos e opiniões de forma democrática. No entanto, Rebello aconselha orientação jurídica para que as manifestações da ONG não incidam em crime: "o limite da liberdade de expressão está na hipocrisia legal que ainda existe, infelizmente. A linha jurídica está na sorte, pois 'para cada cabeça há uma sentença'. Parece brincadeira, mas não é. Um juiz vai interpretar de uma forma, outro de outra, já vi muitas vezes acontecer".
domingo, 14 de novembro de 2010
Referendo no Arizona aprova legalização de maconha medicinal
13/11/2010 22h26
Referendo no Arizona aprova legalização de maconha medicinal
Fica autorizado o consumo de 70 gramas a cada duas semanas.
Paciente pode plantar erva em casa se morar longe de farmácia autorizada.
Do G1, em São Paulo
Médicos querem criar agência para regular uso medicinal da maconhaCarta sobre descriminalização da maconha divide neurocientistasFernando Henrique defende estudo sobre descriminalização da maconhaA partir deste sábado (13), o uso medicinal de maconha é legal no estado americano do Arizona. A apuração de votos de um referendo sobre o tema terminou neste sábado (13), com a vitória dos apoiadores da proposição 203 ("Arizona Medical Marijuana Act"), que legaliza o consumo de maconha exclusivamente para fins medicinais.
O "sim" venceu por uma diferença de 4.341 votos. Na contagem de votos, o apoio à proposição 203 superou a rejeição pela primeira vez ontem (12).
Com a decisão, o Arizona torna-se o 15º estado americano a permitir o uso medicinal de maconha.
Fica autorizado o consumo de aproximadamente 70 gramas a cada duas semanas.
A cada 10 farmácias, uma poderá vender maconha, contra apresentação de prescrição médica.
Quem mora a 40 quilômetros ou mais da farmácia autorizada mais próxima, poderá plantar maconha, desde que tenha uma receita médica válida.
Referendo no Arizona aprova legalização de maconha medicinal
Fica autorizado o consumo de 70 gramas a cada duas semanas.
Paciente pode plantar erva em casa se morar longe de farmácia autorizada.
Do G1, em São Paulo
Médicos querem criar agência para regular uso medicinal da maconhaCarta sobre descriminalização da maconha divide neurocientistasFernando Henrique defende estudo sobre descriminalização da maconhaA partir deste sábado (13), o uso medicinal de maconha é legal no estado americano do Arizona. A apuração de votos de um referendo sobre o tema terminou neste sábado (13), com a vitória dos apoiadores da proposição 203 ("Arizona Medical Marijuana Act"), que legaliza o consumo de maconha exclusivamente para fins medicinais.
O "sim" venceu por uma diferença de 4.341 votos. Na contagem de votos, o apoio à proposição 203 superou a rejeição pela primeira vez ontem (12).
Com a decisão, o Arizona torna-se o 15º estado americano a permitir o uso medicinal de maconha.
Fica autorizado o consumo de aproximadamente 70 gramas a cada duas semanas.
A cada 10 farmácias, uma poderá vender maconha, contra apresentação de prescrição médica.
Quem mora a 40 quilômetros ou mais da farmácia autorizada mais próxima, poderá plantar maconha, desde que tenha uma receita médica válida.
quinta-feira, 11 de novembro de 2010
A resposta da California
A resposta da Califórnia
07 de novembro de 2010 0h 00
Mario Vargas Llosa - O Estado de S.Paulo
Os eleitores do Estado da Califórnia rejeitaram na terça-feira a legalização do cultivo e do consumo da maconha por 53% dos votos a 47%, uma decisão que considero muito equivocada. A legalização teria sido um passo importante na busca de uma solução eficaz para o problema da delinquência vinculada ao narcotráfico que, segundo o que acaba de ser anunciado oficialmente, já causou este ano o impressionante total de 10.035 mortes no México.
Esta solução passa pela descriminalização das drogas, ideia que há pouco tempo era inaceitável para a maior parte de uma opinião pública convencida de que a repressão policial aos produtores, vendedores e usuários de entorpecentes seria o único meio legítimo de pôr fim a semelhante praga.
A realidade revelou o quanto esta ideia é ilusória, à medida que todos os estudos indicavam que, apesar das astronômicas somas investidas e da gigantesca mobilização de efetivos para combatê-las, o mercado das drogas continuou a crescer. Ele se estendeu por todo o mundo, criando cartéis mafiosos de imenso poder econômico e militar que - como vemos no México desde que o presidente Felipe Calderón decidiu enfrentar os chefes traficantes e suas gangues de mercenários - pode combater em pé de igualdade, graças ao seu poderio, com os Estados nos quais conseguiram se infiltrar por meio da corrupção e do terror.
Os milhões de eleitores californianos que votaram a favor da legalização da maconha são um indício auspicioso de que cada vez é maior o número daqueles que pensam que chegou a hora de uma mudança na política para lidar com as drogas e de uma reorientação dos esforços - de repressão e prevenção, de cura e informação - no sentido de acabar com a criminalidade desaforada que é criada pela proibição e com os estragos que os cartéis estão infligindo às instituições democráticas, principalmente nos países do terceiro mundo. Os cartéis podem pagar salários melhores que o Estado e assim neutralizar ou pôr a seu serviço parlamentares, policiais, ministros e funcionários, financiando campanhas políticas e adquirindo meios de comunicação para defender seus interesses.
Desta forma, eles proporcionam trabalho e sustento a inúmeros profissionais nas indústrias, no comércio e nas empresas legais dentro das quais imensas quantias são lavadas. O fato de tantas pessoas dependerem da indústria das drogas cria um estado de tolerância ou indiferença diante das implicações deste mercado, ou seja, da degradação e da derrocada da legalidade. É um caminho que, mais cedo ou mais tarde, conduz ao suicídio da democracia.
A legalização das drogas não será fácil, é claro, e num primeiro momento, como assinalam seus detratores, trará sem dúvida um aumento no seu consumo. Por isso, a descriminalização só tem razão de ser se for acompanhada de intensas campanhas de informação sobre os prejuízos que esse consumo implica, semelhantes às que foram promovidas com sucesso para reduzir o consumo do tabaco em quase todo o mundo, e aos esforços paralelos para desintoxicar e curar as vítimas do vício.
Mas seu efeito mais positivo e imediato será a eliminação da criminalidade que prospera exclusivamente graças à proibição. Como ocorreu com as organizações de gângsteres que se tornaram todo-poderosas e encheram de sangue e cadáveres as ruas de Chicago, Nova York e outras cidades americanas nos anos da Lei Seca, um mercado legal acabará com os grandes cartéis, privando-os de seu lucrativo negócio e levando-os à ruína. Como o problema da droga é fundamentalmente econômico, sua solução também precisa passar pela chave econômica.
Sob a forma de tributos, a legalização trará aos Estados grandes recursos que, se forem empregados na educação dos jovens e na informação do público em geral a respeito dos efeitos nocivos que o consumo dos entorpecentes causa na saúde, podem trazer um resultado infinitamente mais benéfico e de alcance mais amplo do que uma política repressiva que, além de provocar uma violência vertiginosa e encher de insegurança a vida cotidiana, não fez retroceder o vício nas drogas em nenhuma sociedade.
Em artigo publicado no New York Times no dia 28, o colunista Nicholas D. Kristof cita um estudo presidido pelo professor Jeffrey A. Miron, de Harvard, no qual se calcula que a simples legalização da maconha em todo o território americano representaria uma arrecadação anual de US$ 8 milhões em impostos para o Estado, ao mesmo tempo poupando a este uma quantia proporcional habitualmente investida na repressão. Com esta gigantesca injeção de recursos voltados para a educação, principalmente nos colégios dos bairros pobres e marginalizados de onde sai a imensa maioria dos viciados, em poucos anos o tráfico de drogas seria reduzido neste setor social que é responsável pelo maior número dos casos de assassinato, delinquência juvenil e decomposição da família.
Kristof cita também um estudo realizado por ex-policiais, juízes e fiscais dos Estados Unidos, no qual se afirma que a proibição da maconha é a principal responsável pela multiplicação das gangues violentas e dos cartéis que controlam a distribuição e a venda da droga no mercado negro, obtendo com isso "imenso proveito".
Para muitos jovens que moram nos guetos negros e latinos, já muito atingidos pelo desemprego provocado pela crise financeira, essa possibilidade de ganhar dinheiro rápido com o crime se mostra irresistivelmente atraente.
A estes argumentos "pragmáticos" em defesa da descriminalização das drogas, seus adversários respondem com um argumento moral. "Será que devemos nos render ao delito em todos os casos nos quais a polícia se mostre incapaz de deter o delinquente, optando, assim, por legitimá-lo? Será que deveria ser esta a resposta para a pedofilia, por exemplo, para a violência doméstica, os crimes contra as mulheres e outros fenômenos que, em vez de recuar, aumentam por toda parte? Devemos abaixar a guarda e nos render, autorizando tais práticas diante da impossibilidade de eliminá-las?"
Não se deve confundir as coisas. Um Estado de direito não pode legitimar os crimes e os delitos sem negar a si mesmo e converter-se num Estado bárbaro. E um Estado tem a obrigação de informar seus cidadãos a respeito dos riscos que estes correm ao fumar, beber álcool e usar drogas, é claro. E também de impor sanções e penas severas àqueles que, por fumar, se embriagar ou usar drogas, causem danos aos demais. Mas não me parece muito lógico nem coerente que, sendo esta a política seguida por todos os governos em relação ao tabaco e ao álcool, não seja esta a política seguida também para o caso das drogas, incluindo as drogas leves, como a maconha e o haxixe, apesar de já ter sido provado que seu efeito não é mais nocivo do que o produzido pelo consumo excessivo de tabaco e álcool, podendo até ser menos maléficas do que estas duas substâncias legalizadas.
Não tenho a menor simpatia pelas drogas, sejam elas leves ou pesadas, e a figura do drogado, assim como a do bêbado, me parece bastante desagradável, na verdade, além de incômoda e inspiradora de desgosto.
Mas também me desagradam profundamente as pessoas que assoam o nariz na minha frente usando os dedos, que palitam os dentes ou comem frutas com sementes, caroços e cascas, e nunca me ocorreu defender uma lei que as proíba de fazê-lo e as castigue com a prisão caso a desrespeitem.
Liberdade. Por isso, não vejo por que o Estado teria de proibir uma pessoa adulta e dona do próprio juízo de causar mal a si mesma ao fumar maconha, cheirar cocaína ou encher-se de pastilhas de ecstasy se isto lhe agrada, alivia sua frustração ou sua apatia. A liberdade do indivíduo não pode significar o direito de fazer apenas coisas boas e saudáveis, mas também outras que não o sejam, respeitando a condição, é claro, de que estas não prejudiquem nem causem dano aos demais. Esta política, que se aplica ao consumo do tabaco e do álcool, deveria também reger o consumo das drogas. É perigosíssimo que o Estado comece a definir aquilo que é bom e saudável e aquilo que é ruim e prejudicial, pois tais decisões representam uma intromissão na liberdade individual, princípio fundamental de uma sociedade democrática.
Por este rumo podemos chegar sem perceber ao desaparecimento da soberania individual e a uma forma disfarçada de ditadura. E as ditaduras, como sabemos, são para os cidadãos infinitamente mais mortíferas do que os piores entorpecentes. / TRADUÇÃO DE AUGUSTO CALIL
07 de novembro de 2010 0h 00
Mario Vargas Llosa - O Estado de S.Paulo
Os eleitores do Estado da Califórnia rejeitaram na terça-feira a legalização do cultivo e do consumo da maconha por 53% dos votos a 47%, uma decisão que considero muito equivocada. A legalização teria sido um passo importante na busca de uma solução eficaz para o problema da delinquência vinculada ao narcotráfico que, segundo o que acaba de ser anunciado oficialmente, já causou este ano o impressionante total de 10.035 mortes no México.
Esta solução passa pela descriminalização das drogas, ideia que há pouco tempo era inaceitável para a maior parte de uma opinião pública convencida de que a repressão policial aos produtores, vendedores e usuários de entorpecentes seria o único meio legítimo de pôr fim a semelhante praga.
A realidade revelou o quanto esta ideia é ilusória, à medida que todos os estudos indicavam que, apesar das astronômicas somas investidas e da gigantesca mobilização de efetivos para combatê-las, o mercado das drogas continuou a crescer. Ele se estendeu por todo o mundo, criando cartéis mafiosos de imenso poder econômico e militar que - como vemos no México desde que o presidente Felipe Calderón decidiu enfrentar os chefes traficantes e suas gangues de mercenários - pode combater em pé de igualdade, graças ao seu poderio, com os Estados nos quais conseguiram se infiltrar por meio da corrupção e do terror.
Os milhões de eleitores californianos que votaram a favor da legalização da maconha são um indício auspicioso de que cada vez é maior o número daqueles que pensam que chegou a hora de uma mudança na política para lidar com as drogas e de uma reorientação dos esforços - de repressão e prevenção, de cura e informação - no sentido de acabar com a criminalidade desaforada que é criada pela proibição e com os estragos que os cartéis estão infligindo às instituições democráticas, principalmente nos países do terceiro mundo. Os cartéis podem pagar salários melhores que o Estado e assim neutralizar ou pôr a seu serviço parlamentares, policiais, ministros e funcionários, financiando campanhas políticas e adquirindo meios de comunicação para defender seus interesses.
Desta forma, eles proporcionam trabalho e sustento a inúmeros profissionais nas indústrias, no comércio e nas empresas legais dentro das quais imensas quantias são lavadas. O fato de tantas pessoas dependerem da indústria das drogas cria um estado de tolerância ou indiferença diante das implicações deste mercado, ou seja, da degradação e da derrocada da legalidade. É um caminho que, mais cedo ou mais tarde, conduz ao suicídio da democracia.
A legalização das drogas não será fácil, é claro, e num primeiro momento, como assinalam seus detratores, trará sem dúvida um aumento no seu consumo. Por isso, a descriminalização só tem razão de ser se for acompanhada de intensas campanhas de informação sobre os prejuízos que esse consumo implica, semelhantes às que foram promovidas com sucesso para reduzir o consumo do tabaco em quase todo o mundo, e aos esforços paralelos para desintoxicar e curar as vítimas do vício.
Mas seu efeito mais positivo e imediato será a eliminação da criminalidade que prospera exclusivamente graças à proibição. Como ocorreu com as organizações de gângsteres que se tornaram todo-poderosas e encheram de sangue e cadáveres as ruas de Chicago, Nova York e outras cidades americanas nos anos da Lei Seca, um mercado legal acabará com os grandes cartéis, privando-os de seu lucrativo negócio e levando-os à ruína. Como o problema da droga é fundamentalmente econômico, sua solução também precisa passar pela chave econômica.
Sob a forma de tributos, a legalização trará aos Estados grandes recursos que, se forem empregados na educação dos jovens e na informação do público em geral a respeito dos efeitos nocivos que o consumo dos entorpecentes causa na saúde, podem trazer um resultado infinitamente mais benéfico e de alcance mais amplo do que uma política repressiva que, além de provocar uma violência vertiginosa e encher de insegurança a vida cotidiana, não fez retroceder o vício nas drogas em nenhuma sociedade.
Em artigo publicado no New York Times no dia 28, o colunista Nicholas D. Kristof cita um estudo presidido pelo professor Jeffrey A. Miron, de Harvard, no qual se calcula que a simples legalização da maconha em todo o território americano representaria uma arrecadação anual de US$ 8 milhões em impostos para o Estado, ao mesmo tempo poupando a este uma quantia proporcional habitualmente investida na repressão. Com esta gigantesca injeção de recursos voltados para a educação, principalmente nos colégios dos bairros pobres e marginalizados de onde sai a imensa maioria dos viciados, em poucos anos o tráfico de drogas seria reduzido neste setor social que é responsável pelo maior número dos casos de assassinato, delinquência juvenil e decomposição da família.
Kristof cita também um estudo realizado por ex-policiais, juízes e fiscais dos Estados Unidos, no qual se afirma que a proibição da maconha é a principal responsável pela multiplicação das gangues violentas e dos cartéis que controlam a distribuição e a venda da droga no mercado negro, obtendo com isso "imenso proveito".
Para muitos jovens que moram nos guetos negros e latinos, já muito atingidos pelo desemprego provocado pela crise financeira, essa possibilidade de ganhar dinheiro rápido com o crime se mostra irresistivelmente atraente.
A estes argumentos "pragmáticos" em defesa da descriminalização das drogas, seus adversários respondem com um argumento moral. "Será que devemos nos render ao delito em todos os casos nos quais a polícia se mostre incapaz de deter o delinquente, optando, assim, por legitimá-lo? Será que deveria ser esta a resposta para a pedofilia, por exemplo, para a violência doméstica, os crimes contra as mulheres e outros fenômenos que, em vez de recuar, aumentam por toda parte? Devemos abaixar a guarda e nos render, autorizando tais práticas diante da impossibilidade de eliminá-las?"
Não se deve confundir as coisas. Um Estado de direito não pode legitimar os crimes e os delitos sem negar a si mesmo e converter-se num Estado bárbaro. E um Estado tem a obrigação de informar seus cidadãos a respeito dos riscos que estes correm ao fumar, beber álcool e usar drogas, é claro. E também de impor sanções e penas severas àqueles que, por fumar, se embriagar ou usar drogas, causem danos aos demais. Mas não me parece muito lógico nem coerente que, sendo esta a política seguida por todos os governos em relação ao tabaco e ao álcool, não seja esta a política seguida também para o caso das drogas, incluindo as drogas leves, como a maconha e o haxixe, apesar de já ter sido provado que seu efeito não é mais nocivo do que o produzido pelo consumo excessivo de tabaco e álcool, podendo até ser menos maléficas do que estas duas substâncias legalizadas.
Não tenho a menor simpatia pelas drogas, sejam elas leves ou pesadas, e a figura do drogado, assim como a do bêbado, me parece bastante desagradável, na verdade, além de incômoda e inspiradora de desgosto.
Mas também me desagradam profundamente as pessoas que assoam o nariz na minha frente usando os dedos, que palitam os dentes ou comem frutas com sementes, caroços e cascas, e nunca me ocorreu defender uma lei que as proíba de fazê-lo e as castigue com a prisão caso a desrespeitem.
Liberdade. Por isso, não vejo por que o Estado teria de proibir uma pessoa adulta e dona do próprio juízo de causar mal a si mesma ao fumar maconha, cheirar cocaína ou encher-se de pastilhas de ecstasy se isto lhe agrada, alivia sua frustração ou sua apatia. A liberdade do indivíduo não pode significar o direito de fazer apenas coisas boas e saudáveis, mas também outras que não o sejam, respeitando a condição, é claro, de que estas não prejudiquem nem causem dano aos demais. Esta política, que se aplica ao consumo do tabaco e do álcool, deveria também reger o consumo das drogas. É perigosíssimo que o Estado comece a definir aquilo que é bom e saudável e aquilo que é ruim e prejudicial, pois tais decisões representam uma intromissão na liberdade individual, princípio fundamental de uma sociedade democrática.
Por este rumo podemos chegar sem perceber ao desaparecimento da soberania individual e a uma forma disfarçada de ditadura. E as ditaduras, como sabemos, são para os cidadãos infinitamente mais mortíferas do que os piores entorpecentes. / TRADUÇÃO DE AUGUSTO CALIL
Legalizar as drogas é ameaça a juventude
O GLOBO
Legalizar as drogas é ameaça à juventude
Publicada em 10/11/2010 às 20h17mArtigo do leitor Milton Corrêa da Costa*
A legalização de drogas no Brasil se constituiria em uma séria ameaça à segurança nacional e uma perigosa desproteção à juventude brasileira. Sociedades não podem ser extremamente permissivas, quanto mais quando o assunto é drogas. O exemplo, por ventura positivo, sobre tolerância ao uso de drogas em outros países não nos serve. É bom também lembrar que uma lei neste sentido, tal e qual a Lei Seca, que não separa quem sempre bebeu e nunca bateu, uma lei antidrogas, deve ter por escopo não beneficiar os que, por exemplo, fumam 'baseado' e levam uma vida normal. Uma lei, neste caso, não pode beneficiar somente a "corrente progressista", mas sobretudo zelar pelo bem comum, protegendo a juventude como um todo.
" Sociedades não podem ser extremamente permissivas, quanto mais quando o assunto é drogas "
A legalização da maconha no país induziria também ao tráfico de outras drogas. A recente rejeição dos conservadores da Califórnia ao plantio, cultivo, venda e consumo dessa erva foi medida de bom senso. O Brasil, tendo ao lado os dois maiores produtores de cocaína do mundo, a Colômbia e o Peru, também se transformaria em um produtor dessa droga. É preciso inclusive fiscalizar, na Amazônia, os produtos químicos destinados ao refino de cocaína, já que laboratórios clandestinos já foram detectados em território nacional.
Imaginem anunciar ao mundo, um país com dimensões continentais como o nosso, que o consumo da cannabis foi legalizado aqui... A exemplo da Holanda, onde o fluxo de turistas que visitam o país com o intuito de consumir drogas - e que acabam trazendo, clandestinamente, drogas para seus países de origem -é muito expressivo, por mais que se tivesse fiscalização, o mercado negro sempre existiria. O México, onde o narcotráfico mata hoje jornalistas em praça pública, não nos serve de exemplo. O Brasil, com suas vulneráveis fronteiras, se transformaria - não tenho nenhuma dúvida - no "paraíso mundial das drogas".
Por sua vez é ledo engano imaginar que o tráfico no Rio de Janeiro deporia seus arsenais de armas com a legalização das drogas. O tráfico de drogas não é mais hoje a maior renda do narcoterrorismo. Traficantes, com a forte repressão do atual governo do estado, transferiram o comércio de drogas para o asfalto, por meio de traficantes de classe média e alta, e estenderam seus " negócios"´para o controle de bens e serviços em comunidades por eles dominadas. Além disso, esses bandidos migraram para outras modalidades de crimes, como arrastões em vias de trânsito, com uso do emprego do 'elemento surpresa'. Com isso, a eficiência da polícia do Rio hoje está sendo colocada em xeque, ante um delito de difícil prevenção e repressão.
" O Brasil, com suas vulneráveis fronteiras, se transformaria no 'paraíso mundial das drogas' "
É equívoco também imaginar que a relação custo- benefício da repressão às drogas nos faria pensar em abandonar o lado policial da questão para somente tratá-la como caso de saúde pública, O maior exemplo de quando a repressão às drogas se torna uma política de estado é o da Colômbia, onde o governo Uribe logrou importantes vitórias contra o tráfico - o novo presidente está no mesmo diapasão. Por causa disso, o preço da cocaína, tendo em vista a maior escassez do produto, subiu consideravelmente no mercado mundial consumidor, principalmente nos EUA.
Drogas não agregam valores sociais positivos. Se conseguirmos afastar as drogas de uma minoria de nossos jovens pela repressão e pela prevenção, já terá valido a pena. A busca de estados alterados de consciência cria "trapos humanos", sem rumo e sem motivação para a vida saudável. A recente morte do tricampeão mundial de surf, Andy Irons, de 32 anos, que se encontrava em processo de recuperação da dependência de drogas, mostra que nem os grandes atletas estão livres do infortúnio das drogas. Cuidemos de nossos filhos antes que as drogas os destruam. Há uma real, perigosa e constante ameaça pairando sobre todos nós. Nesse caso, o preço da liberdade é a eterna vigilância.
* Milton Corrêa da Costa é coronel da reserva da PM
Publicada em 10/11/2010 às 20h17mArtigo do leitor Milton Corrêa da Costa*
A legalização de drogas no Brasil se constituiria em uma séria ameaça à segurança nacional e uma perigosa desproteção à juventude brasileira. Sociedades não podem ser extremamente permissivas, quanto mais quando o assunto é drogas. O exemplo, por ventura positivo, sobre tolerância ao uso de drogas em outros países não nos serve. É bom também lembrar que uma lei neste sentido, tal e qual a Lei Seca, que não separa quem sempre bebeu e nunca bateu, uma lei antidrogas, deve ter por escopo não beneficiar os que, por exemplo, fumam 'baseado' e levam uma vida normal. Uma lei, neste caso, não pode beneficiar somente a "corrente progressista", mas sobretudo zelar pelo bem comum, protegendo a juventude como um todo.
" Sociedades não podem ser extremamente permissivas, quanto mais quando o assunto é drogas "
A legalização da maconha no país induziria também ao tráfico de outras drogas. A recente rejeição dos conservadores da Califórnia ao plantio, cultivo, venda e consumo dessa erva foi medida de bom senso. O Brasil, tendo ao lado os dois maiores produtores de cocaína do mundo, a Colômbia e o Peru, também se transformaria em um produtor dessa droga. É preciso inclusive fiscalizar, na Amazônia, os produtos químicos destinados ao refino de cocaína, já que laboratórios clandestinos já foram detectados em território nacional.
Imaginem anunciar ao mundo, um país com dimensões continentais como o nosso, que o consumo da cannabis foi legalizado aqui... A exemplo da Holanda, onde o fluxo de turistas que visitam o país com o intuito de consumir drogas - e que acabam trazendo, clandestinamente, drogas para seus países de origem -é muito expressivo, por mais que se tivesse fiscalização, o mercado negro sempre existiria. O México, onde o narcotráfico mata hoje jornalistas em praça pública, não nos serve de exemplo. O Brasil, com suas vulneráveis fronteiras, se transformaria - não tenho nenhuma dúvida - no "paraíso mundial das drogas".
Por sua vez é ledo engano imaginar que o tráfico no Rio de Janeiro deporia seus arsenais de armas com a legalização das drogas. O tráfico de drogas não é mais hoje a maior renda do narcoterrorismo. Traficantes, com a forte repressão do atual governo do estado, transferiram o comércio de drogas para o asfalto, por meio de traficantes de classe média e alta, e estenderam seus " negócios"´para o controle de bens e serviços em comunidades por eles dominadas. Além disso, esses bandidos migraram para outras modalidades de crimes, como arrastões em vias de trânsito, com uso do emprego do 'elemento surpresa'. Com isso, a eficiência da polícia do Rio hoje está sendo colocada em xeque, ante um delito de difícil prevenção e repressão.
" O Brasil, com suas vulneráveis fronteiras, se transformaria no 'paraíso mundial das drogas' "
É equívoco também imaginar que a relação custo- benefício da repressão às drogas nos faria pensar em abandonar o lado policial da questão para somente tratá-la como caso de saúde pública, O maior exemplo de quando a repressão às drogas se torna uma política de estado é o da Colômbia, onde o governo Uribe logrou importantes vitórias contra o tráfico - o novo presidente está no mesmo diapasão. Por causa disso, o preço da cocaína, tendo em vista a maior escassez do produto, subiu consideravelmente no mercado mundial consumidor, principalmente nos EUA.
Drogas não agregam valores sociais positivos. Se conseguirmos afastar as drogas de uma minoria de nossos jovens pela repressão e pela prevenção, já terá valido a pena. A busca de estados alterados de consciência cria "trapos humanos", sem rumo e sem motivação para a vida saudável. A recente morte do tricampeão mundial de surf, Andy Irons, de 32 anos, que se encontrava em processo de recuperação da dependência de drogas, mostra que nem os grandes atletas estão livres do infortúnio das drogas. Cuidemos de nossos filhos antes que as drogas os destruam. Há uma real, perigosa e constante ameaça pairando sobre todos nós. Nesse caso, o preço da liberdade é a eterna vigilância.
* Milton Corrêa da Costa é coronel da reserva da PM
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